Per la prima volta il Qatar ammette che c’è stato un alto numero di vittime tra i lavoratori che hanno costruito gli stadi per i Mondiali di calcio. Il capo del comitato organizzatore della Coppa del Mondo, Hassan Al-Thawadi, ha infatti per la prima volta ammesso che il Paese ha stimato “tra 400 e 500 morti”. È una cifra drasticamente più alta di qualsiasi altra precedentemente fornita da Doha, che finora aveva parlato di appena 3 decessi, seppure molto più bassa di quella stimata da diverse inchieste internazionali, che parlano di oltre 6mila morti.

Hassan al-Thawadi sembra aver parlato a braccio durante un colloquio con il giornalista britannico Piers Morgan. Nell’intervista, che Morgan ha in parte pubblicato online, il giornalista britannico chiede ad al-Thawadi: “Qual è il totale onesto e realistico dei lavoratori migranti che sono morti a causa dei lavori per il mondiale?”. “La stima è di circa 400, tra 400 e 500”, ha risposto al-Thawadi, “non ho il numero esatto“. Il Comitato supremo e il governo del Qatar non hanno risposto a una richiesta di commento. In precedenza le autorità del Qatar avevano indicato un numero totale di 40 morti, di cui 37 considerati incidenti non lavorativi ma attacchi di cuore e solo tre considerati appunto incidenti sul posto di lavoro. “Una morte è una morte di troppo. Chiaro e semplice”, ha aggiunto al-Thawadi nell’intervista.

Un’inchiesta del Guardian nel 2021 aveva invece stimato in 6.500 il numero di operai scomparsi nei lavori, cifra contestata dalle autorità locali perché definita come il numero totale di immigrati morti in Qatar dal 2010 a oggi. Negli stadi si è spesso lavorato in condizioni di sicurezza mediamente migliori che in tanti cantieri italiani. Il problema è quello che è successo e che tuttora succede fuori dai cantieri, dopo aver trascorso ore e ore sotto al sole, lavorato giorni e giorni senza riposo. Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty international, la percentuale di morti per arresto cardiaco o causa sconosciuta fra gli immigrati lavoratori è decisamente superiore a quella dei morti di nazionalità qatarina (43% rispetto al 28%). Non è una prova (anche perché di autopsie ne sono state effettuate pochissime), ma un indizio su cosa è realmente successo in Qatar.

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