La vera rotta del Norman Atlantic era quella degli “aspetti economici e commerciali” per “guadagnare il più possibile”. In altri termini: “Massimizzare i profitti”. Sono queste le cause profonde, secondo i pubblici ministeri della procura di Bari Ettore Cardinali e Federico Perrone Capano, del naufragio del traghetto Norman Atlantic, avvenuto nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014, tra le coste greche e italiane, e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di altri 64 passeggeri. Nel corso della loro requisitoria – che continuerà per almeno un’altra udienza – i due inquirenti hanno ripercorso quanto emerso nel corso dell’incidente probatorio e del processo che conta 24 imputati tra le quali l’armatore proprietario della nave Carlo Visentini, della società Visemar, i due legali rappresentanti della società greca Anek Lines noleggiatrice del traghetto, il comandante Argilio Giacomazzi e 20 membri dell’equipaggio, oltre alle due società.

Le “tantissime carenze nella gestione” – Un processo, ha sottolineato Cardinali, durante il quale “si è cercato di fuggire da Bari, dall’Italia e dalla prova”, con “numerose” questioni poste sulla competenza territoriale. “Lo si voleva in Grecia”, ha rimarcato il pubblico ministero. Invece il procedimento è rimasto in Italia per quasi tutti gli imputati e nel corso delle udienze, ad avviso dell’accusa, sono emerse “tantissime carenze della gestione”. A iniziare dalla presenza a bordo di clandestini e di camionisti nel garage, pratiche vietate durante la navigazione. “Chi va per mare e ha un servizio di trasporto passeggeri devo porre la rotta che è quella della sicurezza delle persone. Qui ahimè – ha affermato Cardinali – quelle persone non hanno trovato forme adeguate di sicurezza”.

L’accusa di volersi arricchire – “La rotta tracciata era quella degli aspetti economici e commerciali per guadagnare il più possibile da questa attività. Questo emerge in maniera oggettiva”, ha aggiunto il pm che contesta, a vario titolo, i reati di cooperazione colposa in naufragio, omicidio colposo e lesioni colpose plurime oltre a numerose violazioni sulla sicurezza. Una buona parte di questi reati è già finito in prescrizione essendo passati otto anni dalla notte del naufragio, che è stato definito da Perrone Capano come una “tragedia di enormi proporzioni”, visto che “oltre i morti ci sono persone con lesioni e traumi importanti”. Perrone Capano ha fatto riferimento ad una serie di contatti avvenuti prima della partenza della nave tra noleggiatore e armatore, di cui Ilfattoquotidiano.it aveva già parlato nel 2017 e decisive nella ricostruzione di accaduto: “Dalle mail emerge che i principali attori sia sul fronte greco che su quello italiano – ha spiegato – erano a conoscenza della circostanza che ci fossero una serie di camion frigo che viaggiavano con il motore acceso. La circostanza era nota a tutti i principali attori, compresi anche ai soggetti che viaggiavano a bordo”.

E il capitano non aveva la lista passeggeri – Il pm ha quindi sottolineato che “emergono anche le diverse esigenze tra quelle del noleggiatore di massimizzare i profitti, che provenivano dal trasporto di mezzi pesanti, e l’interesse degli armatori, invece, che era quello di tutelare la proprietà della nave”. Quindi l’accusa ha posto l’accento anche sul fatto che il comandante “non ha mai avuto la lista passeggeri” e “questo è difficoltoso anche per le operazioni di soccorso e salvataggio”, che quella notte – come raccontato da diversi passeggeri – furono caotiche. “Ma soprattutto – ha specificato il pm – mancava il piano di carico, che rappresenta quello che è il carico della nave in termini di mezzi che vengono imbarcati, e deve essere consegnato preventivamente. Si tratta di un piano funzionale a una serie di calcoli e alla distribuzione dei mezzi sui diversi ponti per gli allacci frigo, ponte 3 e ponte 4″.

La “prassi” dei camion coi motori accesi – L’accusa ha sostenuto di avere “plurime evidenze, dallo scambio di corrispondenza, alla prassi diffusa dei camion con i motori accesi, che l’evento incendio – ha riferito – rientrava nelle conseguenze possibili che erano state già prefigurate nei soggetti coinvolti”. Ma ad avviso dei pm gli imputati avevano “escluso” che un rogo “si sarebbe verificato e ciò per effetto di un’ottimistica previsione dagli stessi avanzata dalle conseguenze dei loro comportamenti”. L’origine dell’incendio che avvolse il Norman Atlantic mentre navigava in una notte di tempesta avvenne proprio sul ponte 4, innescato – secondo i consulenti del gup – da un camion che trasportava merce avariabile e, non essendoci a disposizione allacci, tenne il motore diesel acceso. Sul ponte 4 c’erano 43 camion che necessitavano di energia elettrica e sole 40 spine. Almeno tre, quindi, non erano collegati.

Dopo l’incendio la nave diventò una zattera – Secondo quanto riferito dall’altro pm Cardinali, inoltre “l’attivazione del drencher (impianto di antincendio) è arrivata tardi, e se fosse stata azionata sul ponte corretto non ci sarebbe stata incidenza sul naufragio. L’attivazione è arrivata dopo 20 minuti dopo l’inizio dell’incendio”. Cardinali ha aggiunto, poi, che “il sistema di rilevazione dell’antincendio è macchiato da un deficit strutturale e che la nave era in balia delle condizioni meteo”. Che erano “proibitive”, tant’è che “non risultano altri traghetti che avevano deciso di viaggiare”. In quel tratto di mare c’erano solo portacontainer, “mastodonti nel mare che potevano viaggiare anche con quelle condizioni”. Il momento vero e proprio del naufragio è collocato dagli inquirenti nel momento in cui “si spengono entrambi i motori, a distanza di un minuto, che davano la propulsione”. Da quel momento la nave “perde la governabilità” e a causa dell’incendio diventa “poco più di un pezzo di metallo”, una sorta di “zattera” e “non c’era alcun modo di guidarla”.

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