Il punto di equilibrio sul campo di battaglia potrebbe essere vicino. Mentre la mappa del conflitto ucraino continua, seppur lentamente, a modificarsi ogni giorno che passa, gli alleati dell’Ucraina, con gli Stati Uniti in testa, tornano a considerare la possibilità di colloqui di pace. E l’elemento che potrebbe far sedere tutti al tavolo sarebbe la riconquista di Kherson da parte dell’esercito di Volodymyr Zelensky. Lo aveva scritto domenica il Washington Post citando fonti della Casa Bianca e oggi lo ribadisce anche Repubblica, secondo cui proprio la città annessa dalla Federazione con un referendum illegale sarebbe l’ultimo successo ucraino considerato necessario prima di intavolare trattative con il Cremlino.

La principale preoccupazione di Kiev e Washington era quella di poter arrivare a eventuali contrattazioni da una posizione di forza. E questo giustifica la strategia tenuta fino ad oggi dal blocco filo-Ucraina, ossia quella di rifornire l’esercito con più armi possibili al fine di arginare l’avanzata russa, prima, e dare il via alla controffensiva che ha riportato sotto la bandiera gialloblu numerosi territori finiti in mano alle truppe del Cremlino dopo il 24 febbraio. Adesso, però, sono gli Usa che cercano di far capire a Zelensky che battere l’esercito russo in una delle più importanti porte d’accesso al Mar d’Azov e alla Crimea può portare a un primo vero negoziato con Mosca. Nessun cambio di posizione si è ancora visto, almeno in apparenza, da Kiev: l’ultimo atto del governo rimane infatti il controverso decreto presidenziale con il quale è stata vietata per legge qualsiasi contrattazione con la Russia fino a quando Putin sarà presidente.

Ma dai rapporti citati da Repubblica e in mano all’amministrazione americana, oltre che agli alleati Nato e dell’Unione europea, emerge che le armate russe sono ormai sotto pressione, incapaci di reagire all’avanzata ucraina, e questo le obbligherebbe ad accettare un’offerta di pace, anche a condizioni impensabili fino a qualche settimana fa, proprio per evitare una disfatta che non sarebbe ‘rivendibile’ dal governo in patria. Lo testimonierebbe anche il cambio di strategia sul campo di battaglia: l’esercito è ormai concentrato nel distruggere infrastrutture civili strategiche per l’Ucraina e sulla costruzione di una tripla linea di trincee, oltre all’uso di barriere naturali. Una di queste è il fiume Dnipro, oltre il quale i filorussi, poi smentendosi da soli, avevano fatto sapere di volersi ritirare proprio a Kherson. Una strategia esclusivamente difensiva.

Ed è per questo che, come emerso, i ‘buoni rapporti’ tra Washington e Mosca non si sono interrotti e sono continuati sottotraccia anche negli ultimi mesi. Per la Russia, una trattativa a questo punto del conflitto significherebbe cercare insieme al blocco filo-Ucraina una soluzione che permetta a Putin di rivendere in patria le conquiste ottenute, di “non perdere la faccia”, come detto nei primi mesi di conflitto. Per il blocco occidentale vorrebbe dire invece mettere fine a un conflitto sanguinoso, sia da un punto di vista umano che economico, con Zelensky che diventerebbe il presidente che ha difeso l’indipendenza del Paese dall’invasore e l’Ucraina che potrebbe così richiedere e ottenere non la neutralità, come ipotizzato inizialmente, ma garanzie di sicurezza ben più importanti, oltre a una graduale integrazione nella Nato e nell’Unione europea. Un grande punto interrogativo rimane sulle sorti della centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa: in questo momento rimane in mano all’esercito russo, ma rappresenta un’enorme fonte di approvvigionamento energetico per Kiev. Resta da vedere chi, tra Russia e Ucraina, sia disposta a fare concessioni sull’impianto conteso.

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