di Enza Plotino

Entro il 2 novembre, il governo italiano dovrà decidere la revoca del Memorandum Italia-Libia, un accordo firmato nel 2017 e che ha causato in 5 anni il respingimento in Libia di circa 100.000 persone, con conseguenze drammatiche per la vita di migliaia di uomini, donne e bambini migranti, intercettati in mare dalla guardia costiera libica e riportati indietro con la forza.

Se entro quella data il governo non deciderà per la sua revoca, il Memorandum verrà automaticamente rinnovato per altri tre anni. Per dire “no” al rinnovo di questo famigerato accordo, il 26 ottobre a Roma e Milano si sono ritrovate in piazza oltre 30 organizzazioni, mentre in Parlamento andava in scena la fiducia al nuovo governo Meloni.

Governo che ha già mostrato il nuovo corso che la destra vuole imprimere alla spinosa “faccenda”, impedendo, sempre ieri, lo sbarco nei porti italiani di due navi delle Ong con un centinaio di rifugiati salvati in mare. L’accordo Italia-Libia per il pattugliamento delle coste dello Stato africano e l’addestramento delle milizie – sostenuto dall’Italia con importanti risorse finanziarie, messo a punto dal governo Renzi, con il suo ministro degli Interni Marco Minniti – sta arrivando a scadenza proprio in contemporanea con l’insediamento, in Italia, del primo governo di estrema destra dopo il ventennio fascista.

Un accordo sciagurato con cui si cerca, dal 2017, di bloccare le partenze dei migranti dalla Libia, infischiandosene della brutalità dei respingimenti. Lo dicono le Nazioni Unite, che accusano la guardia costiera libica di sistematiche collusioni con i trafficanti di esseri umani e di aver creato dei veri e propri centri di detenzione governativa in cui i migranti vengono rinchiusi prima e dopo il recupero in mare in condizioni disumane, spesso vittime di stupri e torture.

Ed è proprio nei centri europei messi a disposizione dalla Marina Militare italiana che sono stati addestrati parte di questi miliziani libici, promossi a guardie costiere e autori dei pattugliamenti e dei respingimenti finiti nei dossier dell’Onu, ma anche denunciati da importanti quanto difficoltose inchieste di giornalisti coraggiosi.

Quanto è costato fino ad oggi all’Italia questo accordo non è dato sapere. Nulla trapela sui miliardi partiti alla volta di Tripoli e su quanti ne partiranno ancora per il deserto libico se l’accordo sarà rinnovato. Miliardi di euro tra equipaggiamenti, elicotteri, gommoni e armi per le milizie.

Si chiamava Operazione Sophia, ed è in base a questa brillante idea che ci siamo messi in casa nostra il fior fiore della feccia libica. Libici scelti non si sa come, ma di cui si sa bene qual è stata l’attività criminale una volta ritornati in patria: vessare, torturare, segregare i migranti e violentare le donne con ignobile sistematicità.

Non sono grandi numeri. Sono, però, particolarmente significativi i segnali del loro passaggio, che lasciano un’ombra pesante su tutte le operazioni ufficiali che li hanno visti coinvolti e che i ministri succedutisi in questi ultimi anni hanno accuratamente silenziato.

Fino ad oggi non è ancora chiaro se le figure e i ruoli di libici/militari/scafisti coincidevano in qualche anello della catena, perché scafisti non se ne prendono mai. Questi uomini, addestrati in Europa, sono infatti, gli stessi che, una volta finita la “formazione”, vanno a “contenere” – e nei casi di naufragi “salvare” – uomini, donne e bambini che scappano da violenze di ogni genere. Siamo proprio così sicuri di voler mantenere in piedi questo sistema ignobile?

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