Come non bastasse il flop elettorale, i giovani che invocano l’azzeramento dei vertici, il rischio di finire nella tenaglia tra M5s e il Terzo Polo, il Pd si incarta sulle regole e sceglie un percorso congressuale lungo cinque mesi, fino alle primarie del prossimo 12 marzo. Una tabella di marcia che prevede una Costituente che si avvierà il 7 novembre, poi entro il 22 gennaio 2023, con l’approvazione del Manifesto dei valori e dei princìpi, l’indizione del Congresso nazionale, l’approvazione di regolamento e commissione, con le candidature alla Segreteria nazionale che dovranno essere presentate entro il 28 gennaio 2023. Tempi che rischiano di diventare biblici, mentre il governo Meloni già detta le nuove politiche su immigrazione e fisco (tra aumento del tetto al contante e la linea dura del neo ministro Matteo Piantedosi su stop a ong e decreti sicurezza da rievocare) e i sondaggi raccontano il sorpasso del M5s sui dem.
“Penso che sei mesi dal giorno delle elezioni per fare un congresso siano una enormità, un errore. Non si tiene in conto dell’urgenza della situazione”, attacca Matteo Orfini, l’ex presidente del partito che, con tutta l’area dei ‘Giovani turchi’, non ha partecipato in dissenso al voto nella Direzione con all’ordine del giorno il percorso del Congresso e la relazione del segretario, Enrico Letta. Ma se il segretario (uscente) ha invitato tutti a fidarsi “di chi lo statuto se lo è letto”, mediando tra chi voleva accelerare e chi allungare ancora di più il percorso, le polemiche non sono mancate. “Condivido la relazione di Letta, ma avrei preferito tempi più brevi. Ora serve un Pd aperto e fare opposizione dura, dal fisco ai tema del Covid, al governo Meloni”, spiega il sindaco di Pesaro Matteo Ricci. Pur senza scoprire le carte sulla sua possibile corsa verso la segreteria: “Sono al lavoro per la costituente, incontro le famiglie che non ci hanno votato, nelle periferie in giro per l’Italia. Poi quando sarà ora decideremo sulla candidatura“, prende tempo. Come lui il sindaco di Firenze, Dario Nardella: “Candidarmi o meno? Se ne riparlerà dopo che avremo impostato valori e principi”, anticipa. Tradotto, percorso congressuale alla mano, a fine gennaio 2023. Tutti però ora invocano un cambio di passo sull’opposizione: “C’è un campo apertissimo per farla, non è che ci fermiamo al Congresso e il Pd si mette in pausa”, avverte.
E anche Paola De Micheli, che si è già candidata per la corsa, ha attaccato: “Avrei celebrato il congresso del nostro partito in tempi più stretti, senza tatticismi e con primarie aperte a militanti ed elettori”. Tensioni che si sono tradotte in sedici astensioni e un voto contrario sull’ordine del giorno relativo al Congresso. Resta intanto il nodo opposizione, con i dem nella morsa tra Giuseppe Conte da una parte, Matteo Renzi e Carlo Calenda dall’altra: “Il Terzo Polo fa l’opposizione all’opposizione, difficile non considerarlo sulle soglie della maggioranza”, attacca il vicesegretario Giuseppe Provenzano. Non senza nvitare il partito ad archiviare la stagione renziana una volta per tutte: “Si metta una riga sopra e si vada da un’altra parte. Su lavoro e lotta alla precarietà, sul tema della guerra e della pace, non si possono avere due partiti, ne va della credibilità di tutti. Se qualcuno pensa che basta il suo nome e cognome per risolvere i nostri problemi, questa discussione non la faremo mai”, attacca.
“Dobbiamo dire chi vogliamo rappresentare con le nostre idee, quali sono le nostre priorità. Ma l’opposizione deve partire…da ieri”, spiega pure Gianni Cuperlo. “Si esca dalla retorica, e si faccia opposizione su temi concreti. Cosa vuol dire fare politiche per le donne: cosa farà Meloni della legge sulla parità salariale che abbiamo approvato? Che lavoro vogliamo dare agli italiani, precario – dato che la neo presidente non ha detto una parola su questo – o ragioniamo su diritti e salario minimo? Altrimenti sarà solo propaganda”, ha tagliato corto Orfini.
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