“O il Partito democratico cambia o non ha più senso di esistere”. La riscossa della nuova generazione del Pd parte dalla Lombardia, dove i Giovani Democratici sono usciti dall’assemblea regionale con parole di fuoco: “È scandaloso che nonostante il disastro elettorale il segretario nazionale – dimissionario – e tutta la dirigenza nazionale parlino ancora a nome del partito su tutti i canali televisivi e dettino legge negli organi decisionali del partito”. Il segretario regionale Lorenzo Pacini (in foto) non si trattiene: “Non ci riconosciamo né nel segretario Enrico Letta, né nei capigruppo Debora Serracchiani e Simona Malpezzi. Avrebbero dovuto fare un passo indietro subito dopo le elezioni e stare zitti, invece continuano a guidare partito e gruppi parlamentari”. Oggi a Roma la direzione nazionale del partito si riunisce alle 10 al Nazareno per fissare la road map del congresso. “La rivoluzione deve partire subito, il congresso di marzo è troppo lontano” aggiunge Pacini. Per questo anche il movimento giovanile del Pd lombardo il 29 ottobre parteciperà a Coraggio Pd, un evento a Roma a cui aderiscono tutti coloro che si considerano la nuova generazione del partito, con capofila l’eurodeputato Brando Benifei. “Sarà il primo vero momento di discussione condivisa dopo il risultato infimo delle elezioni”, dice Pacini.

Quali sono stati gli errori più gravi?
Chi guida il Pd ha sbagliato tutto sia dal punto di vista della linea strategica che di quella comunicativa. Riguardo alla strategia, nonostante una legge elettorale favorevole alle coalizioni, Letta non è riuscito ad allearsi né con Calenda, né con Conte.

Chi avrebbe preferito dei due?
Bisognava allearsi o con l’uno o con l’altro, spostando il partito più a destra o più a sinistra, non lasciandolo in mezzo. La mia opinione personale è che sarebbe stata meglio un’alleanza con il M5S, ma ne avrei accettata anche una con Azione e Italia Viva.

E gli errori dal punto di vista comunicativo?
Si è cercata una polarizzazione tra Letta e Meloni, come se la scelta fosse questa, ma in realtà c’erano diverse alternative. E non ha funzionato il parlar male dell’avversario, senza dire perché gli elettori dovevano votare noi. Il messaggio è stato “scegliete o noi o loro”. E gli elettori hanno scelto loro.

Comunicazione poco brillante anche alla Camera nelle repliche al discorso della Meloni?
Letta ha fatto un intervento che non faceva né caldo né freddo, come al solito. Serracchiani è riuscita a far fare a tutto il Pd un figura di emme. Scriva pure di merda, se vuole. Non puoi accusare il primo presidente del Consiglio donna della storia italiana di volere le donne un passo indietro agli uomini. Certo, col nuovo governo si pone un tema di tutela dei diritti delle donne, di composizione prettamente maschile dello stesso esecutivo, di politiche che rischiano di non favorire il lavoro femminile. Ma le parole di Serracchiani alla Camera sono state un disastro. E infatti Meloni l’ha distrutta.

Dopo tutti questi disastri, da dove ripartire?
O il partito cambia o non ha più senso di esistere. Non vogliamo una rottamazione, che vuol dire far fuori solo i tuoi nemici. Ma vogliamo un azzeramento, una rivoluzione.

Sembra di sentir parlare un grillino…
Pretendere che ci sia un cambiamento radicale del Pd perché dal 2007 a oggi non ha mai vinto un’elezione a livello nazionale non è essere grillini, ma è essere consapevoli, realisti e in grado di dire per la prima volta davvero le cose come stanno. Puoi fare tutte le proposte del mondo, ma se hai gente che ha governato per anni senza realizzare le proposte, perdi di credibilità. Deve andare tutto insieme, rinnovamento della proposta politica e rinnovamento della classe dirigente.

Cosa vi aspettate dall’evento del 29 ottobre a Roma?
Che emerga una nuova linea di metodo e di politica programmatica.

Di metodo?
Se non si cambia la legge elettorale reintroducendo le preferenze, nello statuto del Pd vanno inserite le parlamentarie. Si vota con le preferenze dal consiglio di istituto quando sei alle superiori fino al parlamento europeo, non ho capito perché a livello di parlamento italiano non possiamo avere le preferenze. I candidati vanno scelti sul territorio con parlamentarie che consentano agli elettori di centrosinistra una scelta diretta dei propri rappresentanti in parlamento. Poi, a livello generale, bisogna ripensare a un sistema di finanziamento pubblico della politica. La politica costa, non è possibile farla mettendosi nelle mani dei finanziatori privati.

Il finanziamento pubblico non è un concetto vecchio per voi che siete giovani?
Sarà anche vecchio, ma il problema rimane ed è molto attuale. Non voglio una politica finanziata dalle lobby, ma una politica finanziata dallo Stato. Se sono i privati a finanziare la politica, poi vuol dire che devi rispondere a loro.

Come deve essere invece la vostra nuova politica programmatica?
Vanno fatte scelte che consentano al Pd di diventare un partito saldamente di centrosinistra, socialdemocratico in senso europeo. E consentano di ricostruire un’identità. Il Pd deve decidere chi vuole rappresentare, deve decidere quali battaglie fare, quali diritti e categorie di persone difendere. Basta con l’idea di voler accontentare tutti, basta col partito della responsabilità, basta andare al governo con chiunque: negli ultimi anni ci siamo andati con tutti, da Forza Italia alla Lega, al M5S.

Quali battaglie vanno fatte?
Per esempio sul salario minimo. In generale serve un’attenzione molto forte sul tema del lavoro, che è la battaglia di questo decennio. Bisogna lottare per la difesa delle classi lavoratrici italiane che oggi, pur lavorando, rimangono povere dal Nord al Sud, perché gli stipendi in questo Paese sono troppo bassi.

Il Pd non ha avuto parole nette su un tema come il reddito di cittadinanza.
È stato anche questo un errore: la gente vuole sapere se sei a favore o contrario. Io penso che il Pd dovrebbe essere a favore del reddito di cittadinanza, perché in questo momento sta salvando almeno un milione di persone dalla povertà assoluta.

Sembra di nuovo vicino al M5S.
No, sono vicino a un’idea di opposizione forte e concreta, che si concentri sui temi e sappia parlare al Paese. Se i 5 Stelle vogliono far parte del campo progressista, lo dimostrino e rinuncino alle loro battaglie populiste. In modo che insieme si possa fare un’opposizione vera e si possa creare un’alternativa progressista e di sinistra a questa destra.

Non teme che una reale iniziativa politica nell’opposizione venga assunta solo da Conte?
È già così e se il Pd non smette di perdere tempo, il M5S supererà il Pd non solo come capacità di fare opposizione, ma anche in termini di sondaggi e di voti. È difficile che Conte possa unire un’opposizione così frastagliata. Un nuovo leader o una nuova leader del Pd invece potrebbe essere in grado di unire Pd, M5S e Terzo Polo.

Può essere utile che il Pd cambi nome?
No, cambiare nome sarebbe una presa in giro verso gli elettori. Il problema non è il brand, ma sono i dirigenti, chi va a parlare in tv, le proposte. Su questo ci vuole la rivoluzione.

Se non ci sarà, ha detto meglio chiudere. Farà ancora politica in questo caso?
Certo, il destino politico mio o di tanti altri non dipende dal Pd. Continuerà a esistere un partito di centrosinistra e dei gruppi di riferimento di centrosinistra, perché in questo Paese un popolo di centrosinistra esiste.

Twitter: @gigi_gno

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