Aver previsto che Berlusconi ancora più di Salvini sarebbe stato una zavorra pesantissima per Giorgia Meloni, dopo circa 3 settimane dal voto e quasi a ridosso del probabile incarico alla leader di Fratelli d’Italia, sembra semplicemente riduttivo. Tanto più alla luce del copione pirotecnico o meglio incendiario del B. di giornata.

Più che una zavorra B. è una mina vagante “non convenzionale” anti-Meloni, almeno fino ad oggi. Ma dal giorno in cui “la coalizione” ricevesse la fiducia, diventerebbe un ordigno permanentemente innescato contro il governo, contro l’Italia, contro l’Europa in una situazione di difficoltà senza precedenti per cui naturalmente “il padre nobile” di Forza Italia, nonché presunto garante della moderazione (rispetto all’estremismo destrorso degli alleati), ha meno interesse che per il posizionamento strategico di Licia Ronzulli.

D’altronde bisogna riconoscere che come da tradizione B. ha dimostrato con disinvoltura il suo aplomb istituzionale, già da quando si è ripresentato in Senato dopo i nove anni di pausa grazie alla Severino, senza cravatta e con la camicia leggermente sbottonata – esattamente come quell’ultimo giorno in cui aveva arringato i suoi sostenitori contro “l’iniquità” della decadenza accanto alle parlamentari di Fi in lutto per “la profanazione della democrazia”. Ovviamente da subito ha ripetuto che non è animato da nessunissimo risentimento ma dalla determinazione di mettere o meglio rimettere le mani sulla Giustizia, assolutamente sì, anche per rottamare definitivamente la Severino e scongiurare effetti indesiderati dal Ruby-ter, che nonostante manovre difensive dilatorie e impedimenti più e spesso meno legittimi è tuttora in corso.

Così alla fine la Giustizia è ritornata come immancabile ciliegina sulla torta avvelenata che B. ha confezionato per la vincitrice assoluta all’interno della coalizione nella giornata surreale della girandola di colpi di scena, esternazioni sul dolce amico ritrovato che dovevano rimanere “riservate” con il gruppo parlamentare, lista personale dei ministri, incontri annunciati e mancati (con Carlo Nordio fino a ieri ministro della Giustizia condiviso), barzellette riciclate. Poco importa se le posizioni di Nordio – candidato di FdI condiviso ufficialmente da B. nell’incontro della riconciliazione, dopo l’esibizione in Senato della lista di accuse alla presidente in pectore, e quelle di Elisabetta Casellati spacciata per Guardasigilli sopra la testa degli alleati – siano in larghissima parte coincidenti.

B. non pretende solamente di far prevalere come bandiera identitaria sempre a garanzia della sua personale impunità il nome della sua candidata. Casellati, che per il suo asservimento al Berlusconi imputato-impunito non avrebbe mai dovuto diventare seconda carica dello Stato, ai suoi occhi presenta un quid pluris inarrivabile: da ex componente del Csm e da stimato avvocato, ha preso parte alla indecorosa e minacciosa manifestazione contro i magistrati sulle scale del Palazzo di giustizia a Milano e si è pure prestata a sostenere in tv che il presidente del Consiglio aveva in buona fede creduto che Ruby fosse la nipote di Mubarak.

La sintesi del giorno dopo, “la riconciliazione” o la Canossa in via della Scrofa che avrebbe dovuto cancellare simultaneamente gli “apprezzamenti” di lui ed il monito inequivocabile di lei “io non sono ricattabile”, scandisce un’ escalation da parte di B. in cui è arduo distinguere la pianificazione di un accurato copione dall’improvvisazione favorita da una senile incontinenza verbale. In una manciata di ore ha posizionato i suoi capigruppo risarcendo Licia Ronzulli, la cui “centralità” più che dai titoli politici deriva probabilmente dall’attivismo nell’organizzazione delle memorabili “cene eleganti”; si è nominato il suo ministro della Giustizia; ha voluto umiliare Meloni ricordando che il suo compagno è un suo dipendente; ha liquidato l’elenco anti-Meloni stilato a caratteri extra-large come un’iniziativa dei senatori. Ma più ancora, e non potevano sfuggirgli l’impatto e le ricadute, ha voluto in un ambito politico rivendicare la sua amicizia ultradecennale e attuale con Putin, la sua stima e l’orgoglio “per essere al primo posto tra i suoi 5 veri amici”.

Secondo le consuete modalità dopo che la notizia è filtrata, in Fi hanno tentato di negare e retrodatare al 2008, ma poi è arrivato l’audio de LaPresse e le “letterine dolcissime” con scambio di regali, non eccessivamente originali, sono ovviamente diventate un caso anche a Strasburgo dove si sono levate finalmente voci indignate pure dal Ppe, che sollecitano un pronto pensionamento per “chi glorifica un criminale di guerra”. E grande rilievo con toni fortemente allarmati si registrano sulla stampa estera; Financial Times, Reuters, El Paìs.

Insomma, siamo ritornati alla ribalta internazionale come “caso politico” e in un contesto di particolare gravità. Mentre Putin sta distruggendo con droni iraniani la rete elettrica ucraina e vara la legge marziale nelle regioni che si è annesso, un partner del nascente governo che si era pure proposto come “mediatore” con la Russia rivendica la sua consuetudine e vicinanza con un criminale di pace e di guerra che l’Occidente, motivatamente e con una formidabile mole di prove, vuole processare per crimini di guerra. Senza contare l’ammissione implicita da parte di B. di aver dato costantemente in sedi ufficiali una versione opposta e menzognera della sua posizione nei confronti della guerra di Putin.

A questo punto le garanzie date e ribadite da Giorgia Meloni e FdI al sostegno dell’Ucraina di fronte all’aggressione russa nell’ambito dell’Europa e della Nato appaiono sempre più incerte, con una fronda interna pro-Putin che va oltre oltre i gemellaggi di Salvini con Russia Unita e lo smarcamento dalle sanzioni “controproducenti” del neoeletto presidente della Camera Lorenzo Fontana, parimenti filo-Putin e anti-gay. La partita per Giorgia Meloni è molto difficile e si trova al bivio che ha indicato Stefano Feltri: scegliere se lasciarsi fagocitare o tentare di emanciparsi davvero, finché è ancora in tempo (Domani, 19 ottobre 2022).

In altre parole essere coerente con “io non sono ricattabile” e tirare dritto, come credo si aspetti la maggior parte dei suoi elettori non etichettabili in massa come fascisti. Tenendo conto che Fi non è eterna ed è spaccata più che mai, come potrebbe dimostrare anche la registrazione e diffusione dell’audio dell’accorato comizietto pro-Putin da parte di chi non lo condivide.

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