Un manifesto europeo contro l’utilizzo dei Pfas, le sostanze chimiche di origine umana più persistenti conosciute. A firmarlo sono state finora una cinquantina di organizzazioni ambientaliste o dedite alla tutela della salute umana che chiedono agli Stati membri dell’Unione Europea e alla Commissione di vietare tutti i Pfas in tutti i prodotti di consumo entro il 2025 e completamente 2030. La presa di posizione punta a mettere al bando le sostanze alchiliche e polifluorurate che costituiscono una grande famiglia di 4700 sostanze chimiche prodotte dall’uomo. Introdotte alla fine degli anni ’40, sono state utilizzate in una gamma sempre più ampia di prodotti di consumo e applicazioni industriali, dagli imballaggi alimentari all’abbigliamento, dall’elettronica all’aviazione, dalle schiume antincendio all’industria cosmetica.

L’utilizzo del legame carbonio-fluoro rende le sostanze molto persistenti nell’ambiente e, se assimilate, nell’organismo umano. Lo dimostra il grave inquinamento che ha colpito parte del Veneto e la falda sottostante, con il caso di 350.000 persone esposte inconsapevolmente all’acqua potabile per decenni, a causa delle emissioni della fabbrica Miteni di Trissino, attiva dal 1964 e chiusa nel 2018. L’allarme però è europeo, con una contaminazione globale che interessa acqua, aria, suolo, fauna selvatica e popolazioni umane. A corredo del manifesto c’è l’elencazione dei casi più gravi in Europa, dove si calcola che siano 100mila i siti che emettono potenzialmente Pfas, con 12 milioni e mezzo di cittadini che vivono in comunità con acqua potabile inquinata. In Belgio, mezzo milione di persone nelle aree di Anversa e Zwijndrecht, in Francia 200.000 persone alla periferia di Lione, nella “valle della chimica”, in Germania a Dusseldorf (600mila abitanti) vi sono enormi aree di acque sotterranee inquinate dai Pfas, con un costo per la bonifica del suolo attorno all’aeroporto stimato in 100 milioni di euro. Nei Paesi Bassi si stima che 750mila persone siano state esposte a livelli elevati di Pfoa a Dordrecht, dove dal 2012 si produce GenX, un’altra tecnologia basata sui Pfas. In questo quadro, per i paesi Ue e la Svizzera, al 2019 il costo della bonifica ambientale è stato stimato in decine di miliardi di euro. Negli ultimi anni le autorità sanitarie hanno abbassato di migliaia di volte i limiti di Pfas tollerabili dall’organismo umano, a dimostrazione di come la tutela della salute fosse inaffidabile.

Il manifesto europeo contro i Pfas è suddiviso in 10 punti. Il primo chiede di “eliminare tutte le fonti inutili delle sostanze chimiche nocive e spingere la produzione verso alternative più sicure ed ecologiche”, con eliminazione graduale nei prodotti di consumo (imballaggi alimentari, cosmetici, abbigliamento) entro il 2025 e l’eliminazione completa della produzione e dell’uso dei Pfas entro il 2030. Il secondo punto mira a una “restrizione universale in tutta l’Ur”, limitando le deroghe, con una radicale gestione del rischio. In terzo luogo si chiede all’Unione Europea “l’attuazione di una restrizione che possa servire da modello per un’azione a livello mondiale”. La Commissione europea viene, poi, invitata a “rispettare gli impegni assunti nell’ambito della Strategia chimica per la sostenibilità, sostenendo pienamente lo sviluppo della restrizione universale sui Pfas”. Ai Paesi che hanno ratificato la Convenzione di Stoccolma del 2001 sugli inquinanti organici persistenti (POP) si chiede di “lavorare per un approccio basato su classi di inquinanti per l’eliminazione globale di tutti i Pfas”, perché solo considerandoli nocivi in blocco, i Pfas possono essere debellati. Inoltre, le aziende vengono esortate “a impegnarsi a eliminare gradualmente i Pfas dai loro prodotti, senza attendere l’entrata in vigore di normative specifiche”, mentre i cittadini vengono sollecitati a richiedere prodotti privi di Pfas.

Per quanto riguarda l’inquinamento già esistente, il manifesto si rivolge ai governi dell’Ue. Innanzitutto perché sviluppino “un piano rapido ed efficiente per la decontaminazione del suolo e dell’acqua potabile delle comunità colpite”, stanziando fondi per le bonifiche e applicando il principio “chi inquina paga”. Gli oneri, infatti, devono essere a carico dei produttori, piuttosto che dei contribuenti. Inoltre, viene chiesta l’adozione di una legislazione sui rifiuti che classifichi i rifiuti contenenti Pfas come rifiuti pericolosi e/o POP, per evitare che vengano reimmessi nell’economia e nell’ambiente attraverso il riciclaggio. Infine, alle autorità Ue si chiede di rivedere i limiti di concentrazione dei Pfas nei rifiuti “al più presto e non oltre 5 anni”, anche per evitare che le sostanze continuino a circolare in prodotti riciclati o siano addirittura esportate.

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