Nonostante siano di parere contrario cari amici con cui da una vita concordo nelle analisi politiche, proprio non riesco a scorgere dietro Giorgia Meloni l’inquietante silhouette fascistissima di Italo Balbo o Roberto Farinacci. Semmai, nei manipoli di Fratelli d’Italia vincitori delle ultime elezioni, vedo soltanto i profili imbarazzanti di invecchiati habitué del generone politico, in cui bazzicano da decenni come terze o quarte file: il gaudente Ignazio La Russa, nella sua evoluzione biografica da paninaro sambabilino a sovreccitato e macchiettistico presenzialista nei rituali mondani capitolini; il “cognato d’Italia” Francesco Lollobrigida, che davanti a un microfono sbraca e “la fa fuori dal vaso”; la Daniela Santanché, rifatta persino nel cognome (quello vero è il più prosaico Garnero), attempata “signorina grandi firme” che dichiara di non uscire di casa senza l’accessorio indispensabile per sentirsi a proprio agio: la borsetta Hermes modello Kelly!

Insomma, sostanziali appartenenti alla corporazione trasversale di partito (un tempo si usava l’allocuzione “Casta”); vecchie conoscenze “ben note all’ufficio”, come direbbero i carabinieri. Non certo barbari invasori Hyksos – secondo la nota metafora di Benedetto Croce per le orde fasciste – saltati fuori nel XVIII secolo a. C. dalle profondità più oscure della storia. Semmai, l’unico tratto che li distingue da altre tribù della casta, già miracolate dal successo elettorale, è quello di aver militato in tempi lontani in organizzazioni dichiarate fuori dall’arco costituzionale e di utilizzare stilemi retorici estremisti da lato destro; almeno prima della ripulitura che li ha perfettamente integrati nell’ammucchiata della fauna istituzionale italiana. Ripulitura e integrazione che, per quanto riguarda Giorgia Meloni premier, richiede un ulteriore step.

Da qui la domanda: a che punto è l’addomesticamento definitivo di Giorgia Meloni? Ossia, quanto è compiuto il suo adeguamento alle logiche del mainstream, che anche nel recente passato stentava a fare proprie? Quando nelle piazze inveiva contro l’Unione europea definendola “fallimentare”.

Difatti chi vuol farsi cooptare dall’ordine vigente deve accettare un’evoluzione ben poco digeribile per una “sovranista” che promette di “andare a Bruxelles a battere il pugno sul tavolo”: l’assetto che quella parte del mondo chiamato “Occidente” è andato assumendo nella liquidazione degli equilibri welfariani. Prima ci fu la “fase laborista” (1964-67) dei grandi scioperi del lavoro organizzato per riequilibrare la divisione dei maxi profitti del boom post-bellico, che trovò risposta nell’ondata inflazionistica finalizzata a creare un aumento solo apparente della torta da suddividere. Nel frattempo venivano messe a punto le strategie della destra per destabilizzare il blocco sociale creato dal New Deal, attraverso la propaganda anti-tasse e la liberalizzazione dei mercati finanziari. La conseguente crisi fiscale dello stato spinse i governi a indebitarsi con i patrimoni privati cresciuti a dismisura grazie all’evasione fiscale legittimata: i cosiddetti “mercati”, diventati “Quinto Potere”.

Passaggi che hanno portato alla duplicazione dei portatori di interessi nei confronti delle politiche governative, in un rapporto molto squilibrato: i cittadini democratici, chiamati alla fedeltà contributiva verso le istituzioni, e i grandi investitori, di cui gli Stati devono costantemente conquistarsi la fiducia assicurando il pagamento del debito e degli interessi. Un meccanismo abbastanza diabolico di cui l’Unione europea, in costante deficit democratico, è il catalizzatore per la liberalizzazione del capitalismo europeo; anche grazie ai suoi fiduciari definiti “tecnocrati”, visti all’opera in Grecia come in Italia (e ritroviamo sempre le impronte di Mario Monti e Mario Draghi).

Quanto la Meloni è pronta a digerire tutto questo? Intanto è già andata a Washington per l’omaggio vassallatico all’ordine imperiale e ha baciato la pantofola di Draghi. Sicché vedremo in futuro un allineamento al modello europeo che più piace agli States: la Polonia. Prepariamoci dunque non alla dittatura ma a un graduale scivolamento nella democratura (la democrazia ridotta a guscio vuoto), pesanti attacchi ai diritti civili, qualche ritorsione e regolamenti di conti, concessioni retoriche al proprio zoccolo duro: gli odiatori della Costituzione e i cultori del patriarcato, con effetti soprattutto simbolici. Come l’avvento del berlusconismo coincise con attacchi verbali ai comunisti e ai giudici, privi di effetti concreti.

I nuovi Re di Roma

di Il Fatto Quotidiano 6.50€ Acquista
Articolo Precedente

La previsione di Renzi sul Pd a La7: “Se Schlein diventa segretaria metà partito passa con noi, e sono prudente. Ma finisce con o senza di lei”

next
Articolo Successivo

Elezioni, l’astensionismo suggerisce che è ora di formulare una proposta credibile

next