Cultura

Exodus a Milano, gli specchi e l’altra dimensione in uno spettacolo che mette al centro il Mediterraneo: al teatro Menotti fino al 9 ottobre

Uno spettacolo di danza scultorea con la voce narrante di Moni Ovadia. Lo show di physical theatre e tecniche illusionistiche crea architetture visive di meraviglia rinascimentale e barocca

di Simona Griggio

La loro cifra? Lo specchio. È l’altra dimensione. Quella su cui i movimenti dei danzatori si riflettono e si moltiplicano. Per costruire un mondo parallelo. Al teatro Menotti di Milano fino al 9 ottobre la compagnia NoGravity è in scena con “Exodus”. Uno spettacolo di danza scultorea con la voce narrante di Moni Ovadia. Lo show di physical theatre e tecniche illusionistiche crea architetture visive di meraviglia rinascimentale e barocca. Sculture viventi che da terra si proiettano sulla superficie di un grande specchio: il sogno e l’immaginario.

Una tecnica particolare, che il regista Emiliano Pellisari e la coreografa Mariana Porceddu hanno messo alla base dei loro spettacoli sin dai loro primi debutti all’estero. In Russia e in Cina. Ma che non si esauriscono in un semplice trucco teatrale. Raccontano invece una storia. “Exodus – spiega il regista – è il nome della nave che
portò in Palestina gli ebrei nel 1947.
Un nome paradigmatico, che colleghiamo all’esodo biblico e al tema dell’immigrazione oggi”.

È il viaggio iniziatico
di ogni popolo. La memoria collettiva di un procedere con sacrificio nella speranza di un altrove. I danzatori acrobati di NoGravity lo compiono attraverso tempeste dell’anima e naufragi dello spirito. Sono anime sospese. Al centro c’è il Mediterraneo, “dove sprofonda o galleggia la nostra cultura”
. Per Pellisari è l’acqua di un antico battesimo che, a partire dalla storia degli Ebrei, abbraccia tutti i popoli. “Il tema dell’immigrazione è assunto a concetto universale – prosegue il regista – messo a confronto con quello mitologico dell’esodo degli Ebrei”. Ovadia recita i testi di Thomas Eliot come voce fuori campo. Mentre i danzatori si muovono su due piani distinti: la realtà e la riflessione dei loro corpi nello specchio. Due piani espressivi che convivono nello stesso istante.

Chi sono Emiliano Pellisari e Mariana? Due artisti che si sono incontrati nel 2008 e hanno unito la loro visione artistica in un unico progetto. Pellisari nei primi anni 2000 era produttore esecutivo al teatro della Tosse. All’epoca di Tonino Conte e Sergio Maifredi. Ha partecipato con loro ai progetti più innovativi del teatro genovese. Fra cui “NavigAzioni” spettacolo in porto su una nave-teatro. Nel 2005 fonda la sua prima compagnia di danza e teatro di figura a Roma. “Gli artisti dei miei primi spettacoli si riflettevano già in un grande specchio – precisa – ma nell’utilizzo di questa tecnica mi sono accorto che mancava una grammatica del movimento. La profondità del gesto”.

Il primo spettacolo, “Inferno”, debutta in Russia ed è un successo. Poi arriva anche in Italia. Mariana, una solida formazione all’Accademia di danza nazionale e poi ballerina nella compagnia Danza Prospettiva di Vittorio Biagi, lo vede e desidera subito lavorare con lui. Ma è dura. Lui sceglie altre ballerine e non lei. “Ci siamo incontrati nel 2008 – puntualizza Pellisari – ma io non ero ancora pronto per aprirmi alla danza e all’entusiasmo travolgente di Mariana per i miei spettacoli. Lei insisteva: voleva partecipare al mio mondo artistico. Mi faceva quasi stalking (ride, ndr)”.

Alla fine non solo Mariana diventa coreografa della compagnia ma Pellisari si innamora di lei. Non subito però. Dopo cinque anni di lavoro insieme. “Lei è il mio Virgilio – dice ancora il regista – Oggi siamo una coppia artistica e di vita, con due figli”. “Exodus” è il frutto di questo connubio artistico. La scena dei loro spettacoli? Essenziale.

Sono i corpi dei ballerini, statuari nella loro bellezza classica, i protagonisti. Costruiscono immagini, simboli, costellazioni su specchi inclinati, fino a sembrare privi di peso. Ciò che accade sul piano orizzontale, a terra, è fatica. Ciò che si vede riflesso nello specchio è leggerezza. Le musiche arabe, ebraiche e mediterranee sono tratte da Walter Maioli e Jordi Savall. E poi c’è la voce di Moni Ovadia a scandire il viaggio. Lo spettacolo del 7 ottobre alle 19 è preceduto da un laboratorio gratuito aperto al pubblico. Si assiste a una breve performance-studio sulle ricerche di Lévi Strauss, con in scena le sculture di Bato.

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