Come dice il sor Giacinto, mitico chef della pregiatissima trattoria “Uffa che Pizza” in via dei Taurini a Roma, queste elezioni segnano con ogni evidenza la sconfitta della “agenda Draghi”: hanno infatti vinto coloro che sono riusciti a caratterizzarsi agli occhi dell’opinione pubblica, che fosse vero o no, come avversari del governo dei sedicenti Migliori. In entrambi tali casi occorre fare tanto di cappello all’intuito politico dei due leader in questione.

Giorgia Meloni che ha saputo defilarsi fin dall’inizio in modo opportuno da quella disastrosa esperienza, facendo valere in modo egregio il proprio ruolo di opposizione, sia pure solo formale, e Giuseppe Conte, che dissociandosi nella sostanza dalla linea dettata a Draghi da Confindustria e Nato ha saputo incarnare le ragioni dell’alternativa al governo del banchiere, recuperando un partito che gli svarioni di Grillo, Di Maio & C. stavano mandando al macello.

Sconfitti invece coloro che si sono appiattiti fino all’inverosimile, rasentando il masochismo esasperato, su Draghi, si tratti di Letta, segretario di un Pd ormai ridotto solo a partito di istituzioni e gruppi di potere, o di Salvini, che ha tentato di mascherare la propria indubbia nullità politica aggrappandosi anch’egli a Draghi per tramite di Giorgetti e degli accoliti di quest’ultimo, che si apprestano con ogni evidenza a riprendere in mano un partito allo sbando.

La politica, si sa, è oggi più che mai, nell’era dei social – tradizionali o di nuovo tipo – l’arte dell’apparenza, e lo è tanto più nella patria di Machiavelli e del cinismo sfiduciato della plebe che ha perso da tempo ogni speranza. In questo teatrino vince chi meglio sa apparire ma anche meglio mobilitare i più tradizionali, e in vari casi inquietanti, canali del consenso.

Quest’ultima notazione vale ovviamente per Meloni e non certo per Conte, che ha saputo difendere con coerenza il reddito di cittadinanza che è esattamente l’opposto del tradizionale clientelismo, paramafioso o meno. Il generoso tentativo di Unione popolare, per il quale mi sono speso personalmente con grande convinzione, non è purtroppo, per il momento, riuscito. Luigi De Magistris e gli altri leader di questa coalizione dovrebbero far proprie le parole di Hugo Chavez all’indomani del fallimento del suo tentativo rivoluzionario del 1992: “Por ahora no logramos“, per il momento non ci siamo riusciti.

Ma l’esigenza di dar vita a un laboratorio unitario per l’opposizione e l’alternativa strategica di sinistra è più che mai presente e vitale. Certo, l’Italia non è il Venezuela. Ma, sia pure in condizioni storiche e geografiche alquanto differenti, il motore della storia continua a girare e gira perfino in un Paese troppo sonnacchioso, abitudinario e conformista come il nostro. Le radici della vittoria di Meloni sono del resto in fin dei conti decisamente fragili. Non tanto per il fatto che a conti fatti e tenendo conto della massiccia astensione la appoggia solo il 16,64% del popolo italiano, dato che in democrazia chi si astiene perde sempre; quanto perché Giorgia, e in questo non si può certo invidiarla, sarà chiamata ad applicare l’agenda Draghi che in teoria contestava.

Ma su questo i suoi possibili margini di mediazione saranno estremamente ridotti e del resto, per quanto Le Pen, Orban, i polacchi e i neofranchisti spagnoli di Vox si possano oggi eccitare in modo esagerato, la stessa Giorgia ha già chiarito in modo esauriente che non intende creare problemi sui due capisaldi fondamentali dell’agenda Draghi: neoliberismo ed austerità economica, da un lato, e sostegno alla Nato e partecipazione al conflitto ucraino dall’altro.

E saranno le principali fonti di problemi per noi tutti nel prossimo futuro, che trovano convergenza tra di loro nelle malaugurate sanzioni autolesionistiche a Putin. Si preannuncia un autunno che sarà caldo e freddo al tempo stesso. Freddo per le carenze di riscaldamento, che dovrebbero tuttavia trovare il loro culmine nei mesi invernali, caldo per la possibile e auspicabile ripresa della mobilitazione sociale. Il governo Meloni sarà chiamato a dare delle risposte che saranno tutte, si teme, estremamente deludenti. E l’opposizione alle sue scelte o alle sue non-scelte dovrà essere condotta avendo come bussola di riferimento esclusivamente gli interessi del popolo italiano, che dopo le elezioni di ieri rischia più che mai di essere in balia delle sciagure apportate con intensità crescente dal capitalismo e dalla guerra.

Su questo si costruirà l’opposizione sociale e politica, non solo a Meloni e al suo governo che vedrà in larghissima misura il riciclaggio di vecchie cariatidi assolutamente non all’altezza della situazione, ma a tutta l’agenda del grande capitale e dalla Nato che nella povera Giorgia avrà un’interprete per nulla nuova, dato che calca le scene del teatrino politico da decenni, ma oggi alle prese in modo inedito con un ruolo di indubbia difficoltà. Ovviamente non le faccio alcun augurio.

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