di Alessandro Cannavale e Andrea Leccese

Mai come in questa tornata, gli elettori decideranno – ognuno con il proprio grado di consapevolezza – quali e quante risposte offrire alle questioni aperte nel nostro Paese. Tra le altre, indubbiamente, occupano un posto di rilievo le disuguaglianze interne. Su questo come su altri temi, le coalizioni principali (anche per le inevitabili conflittualità interne) arrancano visibilmente, da anni, nell’elaborazione di nuove forme di solidarietà sociale e persino nell’efficace lettura delle dinamiche in corso (su temi come lavoro, scuola, energia, perimetro dei diritti e dei beni comuni).

I dati Eurostat (riportati di seguito nelle infografiche) evidenziano chiaramente l’entità del divario interno italiano, anche rispetto agli altri Paesi dell’Unione. Qui si sono presi in considerazione solo due indicatori: il prodotto interno lordo pro capite (Figura 1) e il numero dei posti letto (in ospedale) disponibili ogni 100.000 abitanti (Figura 2).

Figura 1 – Prodotto Interno Lordo per abitante riferito percentualmente al valore medio europeo

Figura 2 – Numero dei posti letto in ospedale per 100000 abitanti

L’entità dei divari e la distribuzione geografica spuntano le armi a qualsiasi obiezione sull’opportunità di continuare a parlare di “questione meridionale”: un tema quanto mai negletto benché centrale per i suoi effetti sulla qualità della vita dei cittadini e la relativa fruizione dei diritti costituzionali.

Colpisce molto la miopia di economisti, politici e commentatori che continuano a guardare al Sud come luogo naturale dell’assistenzialismo e della dissipazione delle risorse, retaggio del cosiddetto “romanzo antropologico“, destituito di credibilità già cento anni fa da Napoleone Colajanni. Una sommatoria di pregiudizi che costituiscono tuttora il substrato di una serie di “bias”: risposte semplici quanto erronee, che impediscono di affrontare con efficacia la complessità di fenomeni come la Questione meridionale.

Dalle statistiche e dai Rapporti disponibili, emerge chiaramente come un vero dramma nazionale sia quello evidenziato da Giovanni Russo Spena in Lezioni Meridionali (edito da Left): “Un grave deficit di legalità costituzionale e di organizzazione democratica”. Forse per questo motivo il principale problema nazionale, la differente fruizione dei diritti sociali da parte dei cittadini italiani, viene sistematicamente eluso dal dibattito. Con la riforma del Titolo V, le premesse del federalismo all’italiana, la parola Mezzogiorno scomparve persino dalla nostra Costituzione.

In questa cornice, chi nasconde le insidie sottese dal tentativo di “Secessione dei ricchi“, ossia la spinta verso le cosiddette “autonomie differenziate” (operata dalle Regioni più ricche del Paese), dovrà obbligatoriamente scontrarsi con elettori in grado di leggere i programmi dei partiti e le prese di posizione – o l’eventuale silenzio – su temi tanto rilevanti.

La trasversalità partitica delle Regioni che chiedono maggiori risorse per i propri territori, anche senza aver mai definito i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP, obbligatori per dettato costituzionale), dovrebbe mettere in guardia gli elettori del Sud e non solo. Per intendersi, i LEP avrebbero dovuto definire da tempo il livello di prestazioni standard per ciascun cittadino; invece, si continua a utilizzare il criterio della cosiddetta “spesa storica”, che ha contribuito ad accentuare le diseguaglianze sopra citate, dagli asili alla sanità.

Sempre in Lezioni Meridionali, Natale Cuccurese cita il Rapporto Italia 2020 di Eurispes, sostenendo che la mancata definizione dei Lep avrebbe comportato uno spostamento di risorse di 840 miliardi dal Sud al Nord, nel periodo 2000-2017. A tal proposito, una replica di Eurispes a uno degli articoli che negavano l’entità di tale trasferimento, esplicita tale contenuto più chiaramente, con toni inequivocabili:

Dunque, è lo Stato che, disattendendo apertamente la Costituzione, le leggi attuative della Costituzione, le sue stesse norme, i suoi decreti e le sentenze della Corte Costituzionale, non rimuove le suddette differenze per riequilibrare la spesa pubblica allargata (cioè quella complessiva), di fatto, commettendo dei continui atti incostituzionali, illeciti e illegali. La rimozione delle differenze non può che avvenire attuando le suddette misure obbligatorie, sì da far pervenire al Sud come al Centro-Nord la stessa quota media di spesa pubblica allargata pro capite. Gli 840 miliardi sono la misura esatta di quest’omissione perpetrata dallo Stato italiano, dal 2000 al 2017, ai danni del Mezzogiorno che così l’ha privato e, pertanto, gli ha sottratto tale sua legittima somma di spesa pubblica, rendendosi l’artefice e il responsabile dell’iniqua maggiore attribuzione di spesa pubblica al Centro-Nord.

Costituisce un’interessante novità la presa di coscienza di diversi amministratori del Sud su questo tema, con l’elaborazione di delibere che esprimono ufficialmente aperta contrarietà all’intenzione del governo di procedere alla concessione delle autonomie differenziate alle Regioni richiedenti, senza aver prima provveduto alla definizione dei LEP.

Nelle settimane scorse, alla lista degli enti che hanno agito in tal senso, se ne sono aggiunti altri. Ne citiamo alcuni, in ordine sparso, senza pretesa di completezza: Acquaformosa, l’Assemblea dei sindaci del libero Consorzio Comunale di Agrigento, Tarsia, Crispiano, Campodipietra, Lizzano, Polizzi Generosa, San Paolo di Civitate, Castelpoto, Roseto Capo Spulico, Sammichele di Bari, Alessandria Della Rocca, Naro, Balestrate, Noci, Mendicino e Acquaviva delle Fonti, il cui Sindaco, Davide Carlucci, ci ha fornito questa lista. In precedenza, avevamo citato le analoghe delibere di Martano, Galatone e della Provincia di Lecce. È significativo, su questo fronte, l’impulso dell’azione promossa dalla Rete Carta di Venosa e dalla Rete Recovery Sud.

È lecito chiedersi quale, tra le compagini e le liste in lizza riconosca il contributo del Sud alla transizione verso le fonti energetiche rinnovabili, che sarà sempre maggiore e determinante nei prossimi anni, in vista degli obiettivi previsti nelle scadenze del 2030 e del 2050? Chi evidenzia quanto le risorse del territorio meridionale siano già oggi centrali nell’ineludibile percorso di emancipazione dalle risorse energetiche fossili? Chi intende limitare il dramma dell’emigrazione di milioni di giovani dal Sud? Chi affronta con franchezza i numeri della migrazione sanitaria e il crescente problema della povertà energetica? Chi deciderà della sorte dei beni comuni, a partire dall’acqua e dalle energie presenti sui territori? Come si risponderà alle nuove forme di precarizzazione del lavoro?

Un altro tema troppo spesso trascurato nel dibattito è quello delle mafie. Eppure, la storia insegna che la delinquenza mafiosa non è mai in crisi, e che anzi si rinvigorisce proprio nei momenti di maggiore difficoltà dell’economia legale. L’imprenditore mafioso è caratterizzato da una straordinaria spinta creativa, dalla capacità di creare continuamente nuove occasioni di arricchimento, anche nei periodi più bui di recessione. Questo perché la mafia imprenditrice non ha solo una marcia in più – la forza intimidatrice della cosca di riferimento – ma ben due marce in più: la forza criminale del sodalizio e le eccezionali disponibilità finanziarie derivanti soprattutto dal monopolio del traffico di sostanze stupefacenti.

Di questi giorni è il grido di allarme di Pippo Callipo che, in un’intervista al Fatto Quotidiano, ci mette in guardia da uno dei più gravi pericoli che stiamo correndo. “La criminalità organizzata è la nuova Cassa per il Mezzogiorno – dice senza mezzi termini – La ’ndrangheta farà una mattanza. Non solo in Calabria. Hanno le tasche gonfie di euro, e questo è il momento migliore per fare incetta. Compreranno ogni cosa – avverte il noto imprenditore calabrese – a prezzi di saldo. Tra l’altro, hanno bisogno di investire”.

Questo processo di ‘sostituzione’ potrà certo riguardare non solo il Sud, ma tutto il Paese. Le aziende sono in crisi ovunque, ad Ancona come a Vibo Valentia, a Verona come a Catania. Dunque, ci possiamo ancora permettere di sottovalutare lo strapotere economico (e non solo) di questi criminali? Può la famosa “agenda politica” continuare a non contemplare una seria ed efficace lotta alle mafie?

Il Sud che esce dalla minorità imposta da decenni di elusione della Questione Meridionale è la storica opportunità del Paese. Sempre più, anche al Sud, nonostante le statistiche non favorevoli, si fanno strada distretti tecnologicamente avanzati, che ne diversificano le capacità produttive, elaborando percorsi di emancipazione dai coriacei luoghi comuni dell’arretratezza.

Chiunque, nel dibattito elettorale, provasse a eludere questi temi centrali, che richiedono il coraggio di prese di posizione radicali e competenze, non sta lavorando per il nostro futuro. È nostro dovere capire quale compagine stia affrontando questi nodi centrali e con quanta intensità.

Quel che è certo è che sarebbe una grave responsabilità – a nostro avviso – sottrarci al dovere e diritto del voto.

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