Dietro il buon andamento del mercato del lavoro nel secondo trimestre dell’anno – prima della frenata di luglio – c’è anche un ricorso sempre più frequente al precariato spinto. Dalla Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione di Istat, ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal si scopre infatti che tra aprile e giugno la quota di contratti a termine della durata di un solo giorno è salita al 13,3% dal 9,2% del trimestre precedente e quella dei rapporti di lavoro fino a 7 giorni ha toccato il 23,7%, 3,9 punti in più. Risultato: ben il 37% delle nuove posizioni attivate si prolunga non più di 30 giorni, solo lo 0,5% più di un anno. Al tempo stesso i nuovi contratti a tempo determinato continuano ad aumentare: stando ai dati di flusso ne sono stati attivati in totale 2,2 milioni in tre mesi, un nuovo record. E’ questo il mercato del lavoro con cui il prossimo governo dovrà fare i conti dopo il voto, decidendo se serve una legge sulla rappresentanza e se è opportuno che l’Italia resti tra i pochi Paesi europei senza un salario minimo legale.

Come sempre, la crescente incidenza dei contratti brevissimi dipende soprattutto dal comparto degli alberghi e della ristorazione (+11,5% rispetto allo stesso periodo del 2021, con il 16,6% di contratti che dura un giorno e il 48,7% tra due e sei mesi) dove però aumenta anche la quota dei nuovi contratti con durata da sei mesi a un anno (+4,6 punti) e dagli altri servizi. Ma il ricorso alla flessibilità estrema cresce anche nei comparti di pubblica amministrazione, istruzione e sanità (+4,9 punti rispetto al secondo trimestre 2021): il 19,8% dei rapporti di lavoro è di un giorno, un altro 26,8% va da 2 a 7 giorni e nel complesso il 68% non arriva a 30 giorni.

Un po’ meglio, paradossalmente, va nelle costruzioni: circa metà dei contratti dura meno di un mese. I contratti di un giorno sono quasi la norma (63,8%) in quello che il rapporto indica come “settore dell’informazione e comunicazione”, che include le attività cinematografiche, televisive ed editoriali. Nell’agricoltura e nell’industria in senso stretto è invece maggiore l’incidenza di contratti attivati con durate previste di almeno sei mesi.

L’universo del precariato estremo comunque non si limita ai contratti a termine: vanno considerati, ricorda il report, anche il lavoro a chiamata (intermittente) e quello in somministrazione. Nel secondo trimestre 2022 il numero dei somministrati è cresciuto di 50mila toccando quota 485mila unità, +11,5% in un anno. Per il quinto trimestre consecutivo, anche se “a ritmi meno intensi“, prosegue anche l’aumento del numero dei lavoratori intermittenti: si attestano a 281mila, 91 mila in più rispetto al secondo trimestre 2021. Sono saliti del 48,2%. E parliamo di persone che “hanno svolto in media 10,5 giornate retribuite al mese“.

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