di Mario Taras

Questa estate ci hanno fatto due scatole così perché ristoratori e imprese stagionali non riuscivano a trovare personale perché “ai giovani non piace lavorare”, “non si fanno più i sacrifici di una volta”, “i giovani preferiscono stare sul divano”, ecc.. Leggendo gli annunci di lavoro nei giornali si leggono tante richieste per lavoratori stagionali anche senza qualifica. Qualcuno accenna anche al compenso, al numero di giorni di lavoro ed eventuale riposo.

Almeno due inchieste del Fatto hanno dimostrato che molti ristoratori e gestori di stabilimenti balneari non rispettavano assolutamente i diritti in materia di lavoro pagando molto meno di quello stabilito dal contratto non corrispondente al numero delle ore lavorate e senza giorno di riposo. Uno sfruttamento che rasenta la schiavitù che si basa sull’omertà e sullo stato di bisogno delle persone. Non vieni tu, ne trovo altri.

Una guerra tra poveri di cui beneficiano questi “imprenditori” che si arricchiscono alle spalle in primis di questi lavoratori e, in secundis, non pagando le tasse dovute, procurano un grave danno alle casse dello Stato e quindi della collettività. “L’ecosistema Italia si basa sul parassitismo: il debito pubblico dipende proprio da questo” come scriveva in un blog sul Fatto, Ferdinando Boero.

Detto questo mi chiedo per quale motivo questi imprenditori o titolari di imprese, visto che ce l’hanno tanto con il reddito di cittadinanza, perché non si rivolgono ai centri per l’impiego per trovare lavoratori, siano essi stagionali o stabili? Toglierebbero questi scansafatiche dai divani ottenendo anche una piccola vendetta se rifiutano il posto di lavoro in quanto non avrebbero più diritto a percepirlo. Tra l’altro, se fossero veri imprenditori, saprebbero anche che chiamando a lavorare un percettore di reddito di cittadinanza per 16 mesi, dico sedici mesi, i soldi del sussidio lo incasserebbero loro. In pratica lo Stato, oltre ai tanti sgravi fiscali, ti pagherebbe per far lavorare un ormai ex percettore. Sembrerebbe tutto facile ma non lo fanno.

Forse perché non c’è una vera cultura imprenditoriale, nel senso che la funzione sociale dell’imprenditore ormai è scomparsa da tempo, sostituita dall’interesse personale disposto a tutto pur di arrivare al facile arricchimento senza guardare in faccia a nessuno meno che mai ai diritti dei propri dipendenti o collaboratori. Un liberismo selvaggio che da quasi trent’anni sta divorando tutele e diritti in nome di un modello di vita e di società basata sullo sfruttamento selvaggio del prossimo che ha come faro guida questa parola insieme bella e tragica: produttività.

Ormai non ci sono ferie, riposi, fine settimana liberi perché bisogna produrre, produrre e ancora produrre. In nome della produttività si sono sacrificati tempo libero e famiglia e il bello è che sono giustificati dalla società se non addirittura ammirati. Un modello di società malato che porta solo stanchezza, degrado fisico e mentale che si manifesta quotidianamente in frustrazione, rabbia e aggressività.

In pratica lavori facendoti un mazzo così ma a fine mese non hai un corrispettivo economico che giustifica il tuo grande impegno. E’ ormai chiaro che uno dei motivi del perché viene così tanto osteggiato da questi imprenditori e titolari di impresa, è che molti stipendi sono molto inferiori alla somma percepita con il reddito che ha avuto anche il merito di far emergere la terribile realtà dello sfruttamento travestito da offerte di lavoro e che ha iniziato a indurre giovani e meno giovani a denunciare pubblicamente questa indecenza che non dovrebbe appartenere a un grande Paese qual è l’Italia.

Ha permesso anche di rendere i cittadini meno schiavi della politica che non può più ricattare i cittadini tenendoli per le palle in uno stato continuo di bisogno da poter sfruttare a proprio piacimento in tutte le tornate elettorali promettendo posti di lavoro sottopagati sempre al limite dello sfruttamento in cambio del voto e della fidelizzazione a vita.

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