di Mariagrazia Midulla

Sarà un caso? Il 6 luglio gli eurodeputati decidevano di non porre il veto, e quindi di accettare, l’Atto delegato complementare sul clima, una norma che include il gas fossile e l’energia nucleare nella Tassonomia Ue, la guida agli investimenti “verdi” dell’Unione Europea. Sempre il 6 luglio, il governo francese decideva di nazionalizzare Edf, il gigante del nucleare.

L’atto delegato sulla tassonomia attribuisce al gas e al nucleare un’etichetta di investimenti “verdi”, nonostante le elevate emissioni provenienti dal gas fossile e le scorie radioattive e i problemi di sicurezza dell’energia nucleare. Ciò rischia di convogliare miliardi di euro di investimenti in queste fonti energetiche dannose, sottraendoli alle energie rinnovabili realmente sostenibili, come l’energia eolica e solare.

Prima del voto di oggi, oltre 489.182 persone in tutta Europa hanno esortato i loro europarlamentari a respingere il greenwashing della tassonomia dell’Ue. E’ evidente che i cittadini europei non appoggino le false leggi verdi e ciò non stupisce. C’è una crisi di credibilità della politica e, nel contempo, un forte consenso per le fonti rinnovabili: cosa poteva inventarsi di meglio la politica per perdere ulteriormente credibilità cedendo alle pressioni delle lobby del gas fossile e del nucleare?

Eppure quei miliardi di investimenti sono assolutamente necessari per garantire la transizione climatica. Non lo credono solo il Wwf e le altre associazioni ambientaliste, è l’opinione anche degli investitori e di chi gestisce gli strumenti finanziari, preoccupati della credibilità e attrattività della finanza verde, visti i rischi evidenti sia per il nucleare, sia per il gas. Passata la crisi energetica, le infrastrutture fossili diventeranno rapidamente “strandend asset”, cioè investimenti destinati a perdere valore.

Intanto il Wwf insieme ad altre organizzazioni come ClientEarth (un’associazione di avvocati per l’ambiente), ritenendo che questo atto sia incoerente con il regolamento sulla tassonomia, valuterà tutte le possibili strade, comprese eventuali azioni legali, per fermare il greenwashing e proteggere la credibilità dell’intera tassonomia dell’Ue.

L’Italia ci ha guadagnato? No, non ci ha guadagnato: gran parte delle centrali italiane a gas non rientra nei limiti fissati, il nucleare è fuori questione dopo ben due referendum e sarebbe comunque una grande perdita di tempo (tra 20 anni il nostro settore elettrico deve essere più che decarbonizzato, oggi sia G7 che Agenzia Internazionale per l’Energia indicano il 2035 come scadenza). Pensare di investire nella CCS, cioè alla cattura e stoccaggio in depositi geologici del carbonio, è più rischioso che giocare alla roulette, visti i molti insuccessi collezionati.

Torniamo al nucleare francese. È risaputo, e anche evidente, che il nucleare anche in Francia non navighi affatto in buone acque. Il problema è che molte centrali sono arrivate al capolinea, cioè il temuto momento del decommissioning (dismissione) e messa in sicurezza dell’impianto e delle scorie, con costi davvero enormi. Per ammortizzare e distribuire in parte questi costi, diventa necessario costruire nuove centrali nucleari, magari non solo in Francia (un meccanismo che ricorda uno schema Ponzi). Finora però le cose non sono andate bene con l’unica nuova centrale in costruzione, quella di Flamanville, una ennesima tela di Penelope in costruzione da sedici anni, con costi moltiplicatisi per sei.

Tanto per cambiare, si cercherà di mettere le mani sui soldi degli investitori. A suo tempo (dal ’92 ai giorni nostri) si usarono i fondi del CIP6, reperiti in bolletta e destinati alle rinnovabili, per darli a raffinerie e inceneritori. Un vizio dalle conseguenze potenzialmente pesanti sia per i consumatori che per tutti noi.

*Responsabile Clima ed Energia del WWF Italia

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