Di Rocco Morabito in Italia si è cominciato a parlare già dagli anni ’80. All’epoca rampollo di una delle famiglie di ‘ndrangheta più forti della provincia di Reggio Calabria, viene arrestato per aver minacciato pesantemente un suo docente all’Università di Messina. Pochi anni dopo, suo fratello, Leo Morabito, è vittima in un agguato. L’anno successivo anche Rocco viene ferito. Da Africo il giovane Morabito si trasferisce a Milano, dove a soli 25 anni inizia a costruire il suo impero, basato sul traffico della droga. Entra nei giri della “Milano bene”, sa come comportarsi con i suoi modi gentili. Ma presto le sue attività si fanno notare e così viene condannato a 30 anni per narcotraffico. È a quel punto che fa perdere le sue tracce.

Nel 2002 si sposta a Punta del Este, una delle più note località turistiche dell’Uruguay. Continua la sua vita piena di agi a Beverly Hills, dove assume il nome di Francisco Antonio Capeletto Souza, un imprenditore che si occupava di import-export nella coltivazione intensiva della soia. “U Tamunga”, soprannome curioso legato al Dkw Munga, fuoristrada tedesco con il quale scorrazzava per le strade di Africo, è finalmente atterrato in Italia ieri, in esecuzione di un mandato d’arresto emesso dalla procura generale di Reggio Calabria. Dovrà ora scontare 30 anni di carcere per traffico internazionale di stupefacenti. Ha cambiato mille volte, ha avuto diverse identità, se l’è cavata spesso, riuscendo ad aggiudicarsi una latitanza lunga 27 anni. Ha sempre avuto una buona rete di contatti, calabresi trapiantati all’estero e legami solidi nei posti in cui si è nascosto.

Anni fa Morabito era riuscito a evitare l’estradizione con una scenografica fuga da un carcere in Uruguay, dove per la prima volta era stato arrestato dopo 23 anni di latitanza. Insieme ad altri tre detenuti brasiliani, Morabito è uscito da sesto piano del carcere, si è calato sul tetto di un supermercato e poi è piombato in casa di una anziana signora, Elida Duarte, la quale ha detto: “Mi ha assicurato che non mi avrebbe fatto del male e mi ha chiesto le chiavi di casa per poter uscire”. E così ha fatto, mentre gli altri che erano con lui – e che evidentemente avevano meno protezioni delle sue – sono rifiniti in carcere. “Poverino – disse l’anziana donna – mi ha detto che doveva andare via di fretta perché la figlia era molto malata”. Una bugia. Ma anche questo faceva parte del suo personaggio.

Il latitante più ricercato al mondo dopo Matteo Messina Denaro dimostra – qualora ce ne fosse bisogno – quanto sia articolata la rete della ‘ndrangheta oltreconfine, su quante protezioni possano contare i boss mafiosi lungo il corso della latitanza, senza rinunciare a lussi e agi, come nel caso di Morabito, che la bella vita – al contrario di Messina Denaro, costretto a vivere all’ombra – ha continuato a farla, nonostante tutto.

Per la procura di Reggio Calabria una medaglia. È stato difficile coordinare le fasi di estradizione e anche rintracciare il boss dai mille volti. Il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, e il procuratore generale, Gerardo Dominijanni, hanno espresso “grande soddisfazione”. Il fuggiasco non avrà gli stessi confort cui è abituato in cella. Ma di sicuro si può dire che, con il suo arresto, è stato dato un altro duro colpo alla ‘ndrangheta, con una complessa operazione che ha coinvolto nuovi mezzi di ricerca e rapporti internazionali.

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