Adesso la grande domanda è come si possano evitare nuove stragi come quella di domenica. Come istituzioni e autorità possano prevenire fenomeni che diventeranno giocoforza sempre più frequenti a causa dello scioglimento dei ghiacci. I giorni dopo la grande valanga di ghiaccio e rocce che si è staccata dalla vetta della Marmolada, travolgendo gli escursionisti che si trovavano sul fronte trentino della regina delle Dolomiti, ruotano attorno al “mai più”. Eppure controllare le decine di ghiacciai italiani in agonia, prossimi alla scomparsa per lenta consunzione o per crollo in seguito all’instabilità delle nevi perenni, è tutto fuorché facile. Ci vorrebbe una rete di monitoraggio in continuo o almeno dei bollettini quotidiani, come avviene in inverno con le valanghe. E il grande interrogativo è se qualcosa del genere avrebbe evitato la tragedia di domenica, costata la vita a 7 persone mentre altre 5 sono ancora disperse.

Il presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti, lo dice in maniera chiara: “In una stagione eccezionale come questa il nostro concetto di attenzione nello spingerci in alta quota deve essere aggiornato – evidenzia in un’intervista a Repubblica – Per questo è opportuno pensare a sistemi di segnalazione del pericolo: le bandiere rosse sui ghiacciai sotto stress possono aiutare gli escursionisti a compiere scelte sempre più consapevoli”. I rischi, sottolinea, “non sono azzerabili” e la montagna “deve restare un luogo aperto, altrimenti muore davvero”. Discorso “diverso”, precisa, è “pensare a segnali d’allarme in condizioni climatiche eccezionali”. In questo senso, le bandiere rosse “possono essere utili, come i bollettini sui livelli di sicurezza, redatti sulla falsariga di quelli invernali su rischio valanghe e stato delle piste da sci”.

Ora sulla Marmolada è stata installata una coppia di sistemi che permettono di lanciare allarmi immediati in caso di crollo e allo stesso tempo monitorano gli scivolamenti lenti, anche di un solo millimetro, del blocco di ghiaccio rimasto sospeso. E sono diversi i familiari di vittime e dispersi a chiedersi se qualcuno non avesse potuto allertare della situazione: “Mio cognato era una guida alpina espertissima. Se ci fosse stato il minimo segnale di pericolo non sarebbe mai partito con mia sorella, lasciando a casa due figli – ha detto Debora Campagnaro, sorella di Erica, tra i 5 dispersi – Voglio capire se esiste un’istituzione, un’autorità che avrebbe potuto e dovuto fare un bollettino, lanciare un allarme per fermarli. Ed ora che cosa stiamo facendo?”.

Anche Alessandra Camilli, sopravvissuta al disastro, sottolinea: “Nessuno ci ha detto che era pericoloso salire, c’era un sacco di gente che andava tranquilla”. È ricoverata in ospedale e ricorda: “Ho sentito un rumore e guardato verso l’alto. Ho visto pezzi di neve e ghiaccio che scendevano, ho sentito qualcuno che gridava ‘via-via’. Poi penso di essere svenuta”. E sugli attimi prima dell’impatto sottolinea: “Non ho avuto neanche il tempo di pensare ‘ora scappo’, che sono stata travolta”. Eppure la procura di Trento martedì ha chiarito: “In questo momento possiamo escludere assolutamente una prevedibilità e una negligenza o un’imprudenza”, sono state le parole del procuratore capo di Trento, Sandro Raimondi, intervistato dal Tg3. “L’imprevedibilità in questo momento è quella che la fa da protagonista – ha detto – Per avere una responsabilità bisogna poter prevedere un evento, cosa che è molto molto difficile”.

Le ricerche continuano con quattro droni in volo: due droni della soccorso alpino veneto e altri due dei vigili del fuoco di Trento passano al setaccio la zona in cui la frana di ghiaccio ha travolto gli alpinisti. Oltre ai droni, ci sono anche due operatori della Guardia di finanza a capanna Ghiacciaio. Intanto proseguono le attività di trasporto del materiale tecnologico necessario per l’intervento “vista e udito” di una squadra scelta di soccorritori che, assieme a unità cinofile, potrebbe tornare sul ghiacciaio giovedì per fare delle ricerche sul posto: la neve nella parte bassa del via normale su cui è rovinata la frana si sta sciogliendo e la polvere e il pietrisco rendono difficoltoso l’utilizzo dei droni che non “vedono” chiaramente resti e attrezzatura sparsi sul ghiacciaio, per questo si pensa all’intervento con operatori scelti, malgrado il rischio di ulteriori crolli. Una situazione che comunque è in fase di valutazione, dal momento che l’intervento è ritenuto molto pericoloso.

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