I familiari di Guerrina Piscaglia chiedono un risarcimento di quasi un milione di euro a padre Gratien Alabi (o Graziano), alla diocesi di Arezzo-Cortona-San Sepolcro e ai Canonici regolari premostratensi, ovvero l’ordine religioso congolese. Alabi nel 2019 è stato condannato in via definitiva a 25 anni per l’omicidio e l’occultamento del cadavere della donna.

Piscaglia sparì da Cà Raffaello, una località di Badia Tedalda che si trova al confine tra Toscana e Emilia-Romagna, il primo maggio del 2014. Ora, le sorelle e le nipoti di Guerrina, assistite dagli avvocati Chiara Rinaldi e Maria Federica Celatti, hanno depositato un atto di citazione al tribunale civile di Arezzo, dove il 24 novembre è fissata un’udienza della causa. Secondo la citazione, la responsabilità va accertata in solido tra padre Gratien Alabi, attualmente detenuto nel carcere di Rebibbia (Roma), la diocesi e l’ordine di appartenenza:

“L’abito talare” scrivono gli avvocati “fu una vera e propria conditio sine qua non della relazione sessuale prima e dell’evento morte poi” poiché “pose padre Graziano nella condizione di poter più agevolmente compiere il fatto dannoso”. Inoltre, a quanto sostenuto dagli avvocati, il vescovo aveva la facoltà di destituire Alabi oppure di assegnarlo ad un’altra parrocchia, dal momento che era stato informato della relazione da una lettera di una parrocchiana e che era “conscio della pericolosità della relazione” tra Alabi e Guerrina.

La causa dell’omicidio secondo i familiari è evidente: “Alabi la uccise in seguito della degenerazione del rapporto che aveva con Guerrina. Un rapporto insorto in ragione della funzione pastorale affidatagli”. Dagli atti emerge che Graziano frequentava la famiglia “per assisterla moralmente e economicamente, così come si addice a un pastore di anime, salvo poi approfittare della vulnerabilità della vittima“. La Corte di Firenze ha individuato nel timore di perdere il proprio incarico per uno scandalo il movente dell’assassinio: “Fu proprio celandosi dietro il carisma dell’uomo di chiesa e abusando delle sue incombenze che Graziano manipolò Guerrina sino a perdere il controllo” e “fu proprio in ragione delle stesse funzioni che Graziano trovò più conveniente strangolare Guerrina piuttosto che andare incontro alle conseguenze disciplinari della sua condotta”. Da qui, la richiesta di risarcimento danni, tra interessi e spese, che si avvicina al milione di euro. Il corpo della donna non è mai stato ritrovato.

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