di Roberta Ravello

Al primo turno delle Amministrative 2022, nessuna donna è stata eletta nei capoluoghi: rimangono i ballottaggi, ma con scarse speranze per riequilibrare la rappresentanza, dando più voce alle donne.

Dei 26 capoluoghi di provincia in cui i cittadini sono andati alle urne, 13 hanno già eletto uomini al primo turno, gli altri andranno al ballottaggio, previsto per il 26 giugno. Avremo di sicuro due sindache di capoluogo a Piacenza e a Viterbo, dove il ballottaggio è tutto al femminile. In altri 4 capoluoghi si sfideranno una donna e un uomo. I rimanenti ballottaggi vedono solo uomini a contendersi il ruolo di sindaco.

Secondo un report di Anci, l’associazione dei comuni italiani, su 7.904 comuni totali, sono 1.140 quelli guidati da donne. Circa il 15%. Queste amministrative hanno portato però al ribasso la rappresentanza femminile. Al primo turno, laddove si è raggiunta la maggioranza subito, 905/971 comuni dunque, solo 122 hanno scelto una donna per sindaco, portando la media nazionale al 13,4% di donne in questo ruolo.

L’Emilia-Romagna pare essere la regione dove le donne in politica se la cavano meglio, e già al primo turno 5 sindache su 19 posti disponibili hanno raggiunto la loro aspirazione di amministrare la comunità locale. All’ultimo posto sembrano esserci la Valle D’Aosta con 0 donne elette, e la Toscana con una sindaca su 27 comuni.

Secondo una ricerca condotta dal Centro Studi Enti Locali (Csel), sulla base delle liste dei candidati coinvolti nelle elezioni amministrative 2022, solo il 19% delle liste aveva donne a contendersi la sfida di diventare sindaco. In 497 comuni, cioè in 6 su 10, la corsa è stata solo tra uomini.

E che dire delle liste degli elettori aventi diritto di voto colorate in rosa e celeste, inviate dal Ministero dell’Interno ai Comuni, per queste elezioni amministrative? Non è una scelta anacronistica scindere gli elettori in base al sesso, mettendo tra l’altro in imbarazzo le persone “in transizione”, costringendole al coming-out alle urne?

Grave il fatto, se confermato, che lo stesso ministero non abbia bloccato centinaia di liste dove le quote per le donne non sono state raggiunte. Da una parte si rimarca la differenza tra i sessi, dall’altra non si controlla abbastanza che le leggi attuali sulla rappresentanza siano rispettate. Una legge del 2012 ha stabilito infatti che nei Comuni con più di 5 mila abitanti nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi (una sentenza della Corte costituzionale di marzo 2022 ha detto che questo vincolo deve valere anche nei Comuni con meno di 5 mila abitanti, ma senza sanzioni). Nei Comuni con più di 15 mila abitanti, invece, vale la “doppia preferenza di genere”: si può esprimere la preferenza a due candidati, a patto che siano di sesso opposto (pena l’esclusione della seconda preferenza). Una legge del 2014 ha poi stabilito che nelle giunte dei Comuni con più di 3 mila abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento.

Saranno multati ora quei Comuni dove non non sono state rispettate le norme? E i proventi di tali sanzioni potrebbero andare in un fondo per le pari opportunità in politica? Vedo che in molti commentano, anche su Il Fatto Quotidiano, che le donne sono meno in politica perché partecipano quantitativamente meno alla base della stessa (riunioni di partito etc…). Può essere, ma il problema starebbe allora a monte, nella maggiore difficoltà economica a raggiungere l’autonomia per pregresse discriminazioni.

Anche la politica è infine un lusso, e più uomini rispetto alle donne possono permettersela. Non accontentiamoci dello status quo. Non solo il potere politico va redistribuito, ma anche quello economico e, per come la penso io, ve ne sarebbe un vantaggio collettivo.

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