Nessuna usura da parte di Kryalos, società partecipata da Blackstone, nei confronti di Rcs Mediagroup nell’operazione che nel 2013 ha portato alla vendita e alla locazione del complesso immobiliare di via Solferino, via San Marco e via Balzan a Milano. Lo ha deciso la prima sezione civile della corte di Appello del capoluogo lombardo, presieduta da Carla Romana Raineri con i consiglieri Caterina Apostoliti e Rossella Milone. Nella sentenza di 59 pagine si ricostruisce la vicenda della compravendita per 120 milioni di euro dell’immobile che secondo l’impugnante Rcs avrebbe avuto un valore superiore (circa 200 milioni) sostenendo che “la decisione di vendere era stata dettata dalla cogente necessità di far fronte alle difficoltà economico-finanziarie del gruppo”. Ricostruzione smontata punto per punto dai giudici d’appello.

La Corte, in sintesi, ha così rigettato integralmente l’impugnazione proposta da Rcs MediaGroup avverso i Lodi favorevoli alla società di Blackstone, ha rigettato l’impugnazione incidentale proposta da Kryalos e ha condannato il gruppo editoriale al pagamento delle spese processuali liquidate, in favore di Kryalos in complessivi 258.842 euro, oltre alle spese generali. Nel procedimento Kryalos era assistita dagli avvocati Carlo Pavesi, Francesco Gatti, Giuseppe Iannaccone, Stefano Verzoni e Anna Melgrati. Rcs, invece, era difesa dai legali Sergio Erede e Riccardo Bordi e dai professori Francesco Mucciarelli e Laura Salvaneschi.

L’usura, “non può rintracciarsi nella mera, oggettiva sproporzione fra il prezzo convenuto nella compravendita ed il maggiore valore attribuito ai beni (in linea teorica) dal ctu, poiché se la trattativa si è svolta (come si è indubitabilmente svolta) in modo trasparente e competitivo, compulsando il mercato dei potenziali acquirenti, ed il mercato non ha fornito offerte più convenienti, il sinallagma contrattuale è fatto salvo ed è esente da usura proprio in ragione delle ‘concrete modalità del fattò che hanno caratterizzato la negoziazione”. A tale proposito, la corte ricorda che il gruppo guidato da Urbano Cairo “scelse di affidarsi ad un qualificato advisor, Banca Imi, tramite il quale dette corso al procedimento di vendita, consentendo che altri operatori del mercato immobiliare potessero formulare offerte eventualmente migliori. Ma nessuna delle offerte concorrenti venne ritenuta più conveniente di quella proveniente da Blackstone”. Un’adeguata pubblicità che per i giudici dirime i dubbi sull’effettiva sproporzione del prezzo di vendita.

Ma non solo. “E’ assai arduo ipotizzare che una società per azioni, per giunta quotata in borsa – che dispone di un autorevole Cda e di un non meno qualificato Collegio sindacale – non abbia soppesato e valutato la convenienza dell’affare che si accingeva a concludere. Tanto più che la scelta di porre in vendita gli immobili, piuttosto che ricorrere ad altre forme di finanziamento, non costituiva una scelta obbligata, bensì un’opzione fra le tante, ritenuta più rispondente alle esigenze prospettiche della società”. Quanto alla iniquità dello scambio, seppure l’esperto abbia rilevato un indubbio scostamento fra il (presunto) valore di mercato e il prezzo di cessione – “non può omettersi di evidenziare che, prima di definire la compravendita con Blackstone, Rcs aveva condotto di propria iniziativa, con l’assistenza di un advisor finanziario di primario standing e sotto il costante monitoraggio del Collegio sindacale, un’attività di sollecitazione del mercato, rivolgendosi ad oltre trenta investitori, scelti in ragione della loro rappresentatività di tutte le tipologie di potenziali acquirenti, nessuno dei quali aveva proposto condizioni economiche migliori”. Uno scostamento che non può far parlare di usura per una compravendita svolta “con un procedimento competitivo”.

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