“Non va trascurato il rischio di un aumento delle aspettative di inflazione oltre l’obiettivo di medio termine e dell’avvio di una rincorsa tra prezzi e salari“. Nell’Italia che negli ultimi 30 anni ha visto i salari reali addirittura diminuire (vedi grafico sotto) e ora discute di come tutelare il potere d’acquisto delle famiglie di fronte a un’inflazione galoppante, la riflessione sui “rischi” di un aumento dei salari non può che risultare decisamente impopolare. Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco l’ha fatta comunque, nelle sue Considerazioni finali sul 2021, spiegando perché dal suo punto di vista di banchiere centrale la soluzione non è inseguire i rincari con corrispondenti aumenti di stipendio – come ha auspicato da ultimo anche il commissario Ue al Lavoro Nicolas Schmit – bensì puntare su “interventi di bilancio di natura temporanea, e calibrati con attenzione all’equilibrio delle finanze pubbliche”, che “possono contenere i rincari dei beni energetici e sostenere il reddito disponibile delle famiglie più colpite”.

Il pericolo, secondo Visco, è che si possa innescare una spirale – “circolo vizioso“, l’ha definito – come negli anni Settanta, quando gli aumenti innescati dalla crisi petrolifera si trasferivano direttamente alle retribuzioni attraverso la cosiddetta scala mobile. Con il risultato di alimentare ulteriori rincari. Di qui la considerazione che “l’aumento dei corsi delle materie prime non può essere contrastato direttamente dalla politica monetaria” ma “quello che la politica monetaria può fare è assicurare la stabilità dei prezzi nel medio termine, preservando l’ancoraggio delle aspettative d’inflazione e contrastando vane rincorse tra prezzi e salari“. Se il problema sicuramente si pone negli Stati Uniti, dove il mercato del lavoro è surriscaldato e i salari stanno salendo a tassi ragguardevoli (vedi figura a sinistra), questo però non è certo il caso della Penisola.

Stando ai dati Istat, più di metà dei lavoratori dipendenti ha il contratto collettivo scaduto e nel 2021 l’indice delle retribuzioni orarie è cresciuto solo dello 0,6% rispetto all’anno precedente, nemmeno lontanamente abbastanza per tener dietro alla dinamica dei prezzi, e nei primi tre mesi 2022 la retribuzione oraria media è stata solo dello 0,6% più elevata rispetto allo stesso periodo del 2021. Se le misure una tantum come il bonus 200 euro e gli interventi per calmierare le bollette sono benvenute, l’analisi presentata lunedì dall’Ufficio parlamentare di bilancio mostra che quegli aiuti hanno fatto salve solo le famiglie più povere, ma non quelle con redditi medio bassi.

In questo quadro il governo continua a prendere tempo sull’ipotesi di una legge sulla rappresentanza per contrastare i contratti pirata (il ministro del Lavoro Andrea Orlando auspica un accordo tra le parti sociali che sembra in realtà sempre più lontano), che diventerà però un passaggio obbligato dopo il varo della direttiva europea sul salario minimo. Approvare un minimo legale nell’ultimo scampolo di legislatura appare intanto sempre più improbabile. Le imprese come è noto sono contrarie, i sindacati al massimo tiepidi, con la Cisl assolutamente contraria.

Non a caso i leader delle maggiori sigle non hanno preso bene l’uscita di Visco. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha commentato la relazione sottolineando che “più che di aumenti una tantum c’è bisogno di aumentare il potere di acquisto in modo strutturale” e “il tema che per noi resta centrale in questa fase è come si tutela il reddito e come si aumentano i salari e le pensioni delle persone che non ce la fanno più”. E rimarcando che nel discorso “non c’è stata alcuna citazione sulla precarietà nel lavoro e come si supera. Lo stesso governatore dice che sono aumentate le diseguaglianze e ricorda come la maggioranza dei giovani del nostro Paese se ne deve andare. Dovremmo chiederci perché, e la situazione di quello che sta avvenendo è che il livello di precarietà nel lavoro e nella vita nel nostro Paese è troppo alto. Bisogna invertire questa tendenza, cambiare le leggi sbagliate fatte in questi anni, penso al Jobs act“. Sulla stessa linea il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti: “C’è l’esigenza di sostenere i salari attraverso adeguati aumenti contrattuali e una detassazione degli stessi per far crescere i consumi e la domanda interna, scongiurando il pericolo che l’Italia torni in recessione. In questa direzione è fondamentale anche una riforma fiscale che diminuisca le tasse a lavoratori dipendenti e pensionati”. Il primo assaggio di riforma Irpef, andato a regime a marzo, è andato in un’altra direzione: la maggioranza ha deciso di non concentrare le risorse sulla platea che paga l’85% del gettito dell’imposta sui redditi personali ma ridurre le aliquote per tutti, favorendo in termini assoluti soprattutto i redditi medio alti.

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