Introdurre redditi di base incondizionati in tutta l’Unione europea, per assicurare a ciascun cittadino la sussistenza e la possibilità essere parte attiva della politica economica della società. Sono gli obiettivi di una “iniziativa dei cittadini europei” (Ice) che, tramite una petizione online in scadenza il prossimo 25 giugno, rivolge un appello alla Commissione europea perché presenti una proposta che riduca le disparità regionali rafforzando la coesione economica, sociale e territoriale nell’Ue. In base al trattato di Lisbona, Bruxelles è tenuta a farlo se i cittadini riescono a raccogliere un totale di 1 milione di firme e in almeno sette Paesi si supera una soglia minima. Il traguardo finale è molto lontano (hanno firmato in tutto poco meno di 225mila persone) ma l’Italia, con quasi 53mila firme, è vicina a raggiungere il requisito nazionale fissato a quota 53.580: la petizione è stata rilanciata anche dal fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, favorevole all’introduzione della misura. Solo in Slovenia è andata meglio e il tetto è già stato superato. E più sottoscrizioni sono state raccolte solo in Germania (quasi 59mila).

L’istituzione di redditi di base incondizionati, per i promotori dell’iniziativa, si pone come un contributo per quelle politiche europee che dichiarano di voler combattere le diseguaglianze. La misura, si legge nel documento di presentazione dell’Ice, non mira a sostituirsi in alcun modo allo Stato sociale, ma si pone come un’integrazione che “modifichi lo Stato sociale assistenziale in uno Stato sociale emancipativo“. Per essere tale, il reddito di base incondizionato deve rispondere a quattro criteri: deve essere universale, individuale, incondizionato, sufficiente.

Universale significa che si tratta di un diritto e una garanzia per tutti i cittadini europei, senza limiti di reddito, età, residenza o professione. Individuale perché – per impedire controlli o invasioni di privacy da parte di altre persone – deve essere indipendente dallo stato civile, dalle forme di convivenza o dalla configurazione familiare, dal reddito o patrimonio di altri conviventi o familiari. Incondizionato perché, in quanto diritto giuridico e umano, non deve esser soggetto a nessuna condizione preliminare come l’obbligo di svolgere attività lavorative retribuite, dimostrare la volontà di lavorare, svolgere lavori socialmente utili o comportarsi in base a ruoli di genere predefiniti. Infine, sufficiente: l’importo del reddito deve consentire un tenore di vita dignitoso, in linea con le norme sociali e culturali del paese europeo di riferimento. Deve corrispondere quindi – stando alle norme dell’Unione europea – al 60% del reddito medio netto equivalente nazionale. Ma per i paesi in cui i redditi siano più bassi – con un conseguente reddito medio a sua volta basso, per determinare l’importo sarebbe necessario utilizzare valori di riferimento alternativi (esempio: un paniere di beni e servi considerati essenziali), per “garantire una vita dignitosa, la sicurezza materiale e la piena partecipazione alla vita sociale”.

A livello europeo, è a partire dalla metà degli anni ’80 – inizio degli anni ’90, che si pone il problema di istituire forme di sostegno per individui e famiglie indigenti. Tutti gli stati Ue, in modo eterogeneo, ne hanno introdotte e si tratta perlopiù di misure di reddito minimo garantito, non di reddito di base: l’Italia, con la Grecia, è stata tra gli ultimi paesi europei a farlo con l’introduzione del “reddito di cittadinanza” nel 2019. Tutti le forme di reddito minimo garantito, per loro natura, sono sottoposte a condizioni – ma l’entità di questi requisiti di accesso è variabile, sono più o meno restrittivi a seconda dello stato europeo di riferimento: variabile anche l’entità del sussidio, da considerare in rapporto ai differenti redditi mediani dei paesi (solitamente equivale a poco meno della metà). Ci sono grandi differenze nel continente: per Lettonia, Slovacchia e Romania il reddito minimo garantito è pari ad appena l’8% del reddito mediano nazionale, mentre per Spagna, Austria e Francia si aggira intorno ad un terzo del reddito medio. In Svezia, Belgio, Francia, Lussemburgo, Germania, Danimarca, Norvegia, Finlandia – e più recentemente anche in Spagna – la misura è gestita a livello nazionale, mentre nei Paesi Bassi e in Austria la gestione dei sussidi avviene a livello locale. In Francia, ad esempio, è previsto un “reddito di cittadinanza” per gli over 25 che si trovano al di sotto della soglia di povertà, o che non hanno proprio un salario: un sostegno che varia dai 565,34 euro per una persona a 1187,21 euro per una coppia con due figli.

A Cipro, Lussemburgo e in Spagna invece il sussidio è pensato per tutte le fasce di reddito deboli, indipendentemente dall’età. Ancora, in altri stati esistono diverse forme di sussidio differenti all’interno di una stessa nazione: Malta non ha adottato l’applicazione unica, ma una forma di protezione sociale ad accesso condizionato, in modo simile a quanto avviene in Irlanda. In altri stati ancora, come in Germania, esistono forme di sostegno economiche statali anche per stranieri e rifugiati, anche se con importi inferiori rispetto a quelli previsti per i cittadini tedeschi. Fuori dall’Unione europea, lo stato Usa dell’Alaska ha introdotto un “reddito di cittadinanza puro” che oscilla tra i 900 dollari e i 2000 dollari al mese.

In Italia l’unica forma di reddito minimo garantito è quella del reddito di cittadinanza (Rdc), introdotta per “contrastare la povertà” dal primo governo Conte ed inserita nel documento programmatico di bilancio 2022 dall’attuale governo. Il cittadino per poterne usufruire – differentemente da quanto avviene con il reddito di base – deve rispettare diverse condizioni, tra i quali una certa condizione economica e l’affiancamento di un percorso di inserimento lavorativo.

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