Un anno fa la notizia rimbalza sui media di tutto il mondo. A Stresa la cabina numero 3 della funivia che dal lido porta alla vetta del Mottarone si schianta. Un impatto che avviene a pochi metri dall’ultima stazione: la fune trainante della cabina si è spezzata e dopo essere scarrucolata indietro ad alta velocita va a sbattere contro un pilone e precipita in un bosco. Muoiono in 14: si salva solo un bimbo di origini israeliane, finito al centro di una guerra legale tra le due famiglie: quella paterna e quella materna.

“È passato un anno, ma nessuno si è fatto sentire. Ci hanno tutti abbandonato, non ci hanno fatto neanche le condoglianze. È peggio del ponte Morandi – dice Teresa, mamma di Elisabetta Personini e nonna del piccolo Mattia – Vogliamo conoscere la verità e che giustizia sia fatta in fretta”, aggiunge la donna, mentre cammina sulla montagna dove oggi, anniversario dell’incidente alla funivia, è in programma l’inaugurazione di un cippo ai caduti e una messa. Una lapide semplice in pietra locale ricorda le vittime. “Fare giustizia è doveroso, la città di Stresa lo chiede con forza e vi abbraccia tutti – ha detto la sindaca della cittadina sul Lago Maggiore, Marcella Severino, rivolgendosi ai parenti delle vittime – Ricordo la disperata ricerca di un battito, di un respiro tra tutti quegli zainetti simbolo di un giorno che doveva essere di festa Invece c’era solo silenzio. Poi qualche giorno dopo le coltellate, quando si è scoperto che forse si poteva evitare…”. “Chiedere giustizia non fa tornare indietro le persone, ma è un dovere che le istituzioni devono garantire – ha dichiarato il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio – È un momento doloroso per tutti e credo che le istituzioni facciano bene ad onorare le vittime perché questa tragedia non cada nell’oblio”.

“Chiunque sia stato in cima al Mottarone quel giorno – ha detto all’Ansa nei giorni scorsi la procuratrice di Verbania Olimpia Bossi – porterà sempre con sé un profondo senso di pietà per coloro che hanno perso la vita in un modo così terribile e così ingiustificato”. Il magistrato, tra i primi ad arrivare sul luogo dell’incidente per disporre il sequestro dell’impianto sul quale si stanno chiudendo gli accertamenti tecnici per chiarire le cause ha ricordato: “Se chiudo gli occhi rivedo ancora quello scenario di dolore immenso reso ancora più lacerante dal magnifico panorama naturale. Dobbiamo a tutte queste persone e alle loro famigli la ricerca senza preconcetti delle cause di questa tragedia. È quanto stiamo facendo senza sosta”.

Le indagini, oltre al cavo spezzato, cosa rarissima per una funivia, hanno fin da subito portato ad accendere un faro sui freni di emergenza della cabina: nei mesi precedenti, ancor prima della riapertura dell’impianto rimasto fermo per via della pandemia, avevano manifestato qualche problema. Negli atti dell’inchiesta spunta quindi la parola “forchettone” e la scoperta che era stato attivato in modo da disinnescare il sistema frenante. Tre giorni dopo finiscono in carcere, in base a un fermo dei pm, Luigi Nerini, titolare della società che gestisce la funivia, Enrico Perocchio, il direttore di esercizio e dipendente di Leitner, società incaricata della manutenzione, e Gabriele Tadini il caposervizio, il quale ammette che era stato deciso, anche in accordo con i suoi superiori, di inserire i forchettoni. Per tutti e tre il gip non convalida il fermo, scarcera i primi due e pone agli arresti domiciliari Tadini, decisione che sta interessando Cassazione e Tribunale del Riesame di Torino.

Nell’inchiesta, che vede un cambio di gip in corso d’opera e pure procedimenti davanti al Csm, sale il numero degli indagati fino a 14, tra cui la stessa Leitner e i suoi vertici, e gli accertamenti si focalizzano su fune tranciata e forchettoni. Per reati che vanno dall’attentato alla sicurezza dei trasporti fino alla rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro aggravata dal disastro, omicidio colposo plurimo, lesioni colpose gravissime e solo per Tadini pure il falso. Su tutti gli elementi, tra cui la ricostruzione attraverso la ‘scatola nera’ (una scheda informatica), le riprese delle telecamere di sorveglianza e l’analisi della cosiddetta “testa fusa”, si esprimeranno i periti del giudice. L’incidente probatorio, a cui stanno prendendo parte i consulenti dei pm e delle difese, si sta avviando alla conclusione. Al momento, fermo restando il malaugurato inserimento del forchettone, è stato appurato che il cavo si è tranciato a valle della testa fusa, proprio sotto un manicotto, mai aperto per i controlli. Le due perizie, una affidata ad ingegneri meccanici e l’altra a esperti informatici, dovranno essere depositate entro la fine di giugno per poi essere illustrate in aula il 15 luglio. Il loro esito consentirà al procuratore Bossi e al pm Laura Correra di trarre le conclusioni con eventuali ‘ritocchi’ al registro degli indagati e di stringere il cerchio attorno a chi davvero è responsabile di questa tragedia, alla quale è sopravvissuto solo il piccolo Eitan.

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Mottarone, parenti delle vittime e istituzioni sul luogo del disastro per la commemorazione nel primo anniversario della tragedia della funivia

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