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Antonio Castrignanò, dal Salento alla corte dei reali di Monaco: “Un giorno mi ha chiamato la principessa Carolina: ‘Verrebbe a suonare qui?’”

Dai campi salentini dove si raccolgono le olive per qualche spicciolo alla corte monegasca, dal regno "del sole, del mare e del vento" a quello dei principi e delle principesse di oggi, la storia di Antonio Castrignanò ha dell’incredibile

di Simona Griggio

“Origine è Madre, terra de sule. Maggiu cu giugnu sta fannu all’amore”. Il testo del brano di Antonio Castrignanò comincia così. Siamo a Palazzo Grimaldi, nel Principato di Monaco, lui suona al ricevimento per le nozze di Beatrice Borromeo e Pierre Casiraghi. È l’estate del 2015 e gli sposi ballano questa pizzica con tutti gli invitati: in lungo abito bianco Armani lei, in elegante completo grigio lui. Sarebbe meglio togliersi le scarpe ma questo non è il Salento. È un matrimonio regale. Dai campi salentini dove si raccolgono le olive per qualche spicciolo alla corte monegasca, dal regno “del sole, del mare e del vento” a quello dei principi e delle principesse di oggi, la storia di Antonio Castrignanò ha dell’incredibile. Ed è tutta al maschile. Lui è il re della pizzica, la bacchetta magica è la forza della sua musica: un incanto che supera le barriere culturali e di appartenenza. Che nasce dalla terra brulla sotto i piedi e dal sole che brucia il viso. Oggi l’artista pubblica “Babilonia”, un nuovo viaggio corale dove alle tradizioni del Salento si intrecciano melodie e ritmi provenienti dall’Africa sub Sahariana, dalla Turchia, dall’India. Intanto però, nel 2017, la principessa Carolina gli ha messo a disposizione il Balletto di Montecarlo per creare, sul suo repertorio musicale, la nuova creazione del coreografo Jean-Christophe Maillot “Core meu”. Una decina di repliche solo al Grimaldi Forum di Montecarlo. E persino all’Expo di Dubai.

Ci racconta il nuovo album “Babilonia”?
‘Babilonia’ è il nome di una nuova geografia musicale su temi universali: il rapporto fra uomo e natura, l’amore, il lavoro, il femminile. È realizzato con artisti di altissimo livello: Sona Jobarteh, Enzo Avitabile, Don Rico e Badara Seck, Mercan Dede. Il titolo non fa riferimento al caos ma alla ricchezza babilonese: incontro di lingue del mondo, a cominciare dal dialetto.

È anche un disco di denuncia?
Nasce dalla condivisione di esperienze e visioni musicali ma è anche un lavoro di denuncia. Temi come il caporalato e lo sfruttamento del lavoro nei campi sono aspetti presenti nel disco, legati alle mie origini e purtroppo ancora presenti al Sud. Cambiano gli attori ma la logica rimane la stessa. Lavorare la terra per qualcun altro per pochi spiccioli.

Un album che riporta alle sue origini salentine?
Non mi distacco mai dalle mie origini. Per questo ho qualcosa da raccontare nell’arte. La mia cultura popolare è un sapere da condividere. Mia madre e le mie zie lavoravano nella raccolta delle olive. Mio padre era operaio. Da qualche anno il batterio blu, una pandemia dell’ulivo, ha diseccato le piante del Salento e molti lavoratori sono rimasti a casa. Questa è cronaca, ma è anche storia culturale di un territorio. Ricco di stimoli.

La taranta è musica che parla a tutti?
Il tarantismo è una tradizione culturale che va rinnovata, se no rischia di diventare materiale da teca museale. La musica tradizionale del Salento nel mio lavoro si arricchisce sempre di nuove storie e si rimette in discussione. E’ condivisione di saperi che provengono da altre parti del mondo. Una magia che nasce dalle differenze. Nel mio caso è l’essere dalla parte degli ultimi. E’ la dignità della gente povera, gridata attraverso la musica. Il tarantismo è questo, una tradizione che parla di emarginati che attraverso un rituale di purificazione trovano dignità nella comunità.

Come è diventato musicista e cantante?
Da autodidatta. Non ho certo studiato al conservatorio. Mio nonno suonava la fisarmonica e il mandolino. Io ho cominciato a suonare il tamburello e da lì ho conosciuto figure cardine della cultura salentina. A cominciare da Luigi Stifani, l’ultimo violinista delle tarante.

Due singoli, prima di ‘Babilonia’, l’hanno resa popolare….
‘Taranta World’ è una fantasticheria elettrica sulla pizzica, tra fiamme rituali e suoni del contemporaneo, ‘Masseria Boncuri’, luogo simbolo della lotta contro il caporalato, è un potente groove di corde intrecciate a percussioni che attinge alle sonorità del Mediterraneo. Per raccontare la realtà e lo sfruttamento nei campi salentini, pugliesi, del mondo intero. Con la partecipazione di Enzo Avitabile e artisti internazionali. La cantante del Gambia Sona Jobarteh, è l’unica musicista donna a suonare la kora, ossia l’arpa africana, realizzata con la zucca.

Invece, le sonorità di “Babilonia”?
Corrono su un filo comune: salentine, africane, turche, balcaniche. Abbracciano a largo raggio il Mediterraneo in un rimescolamento delle carte. Il mio non è un lavoro folk ma di contaminazioni culturali. Non mi aspettavo nemmeno io che l’album precedente, ‘Fomenta’, facesse successo in Francia.

A proposito di Francia, “Fomenta” ha conquistato persino Carolina di Monaco…
La principessa Carolina, dopo la pubblicazione in Francia del mio album ‘Fomenta’, giocato su sonorità che spaziano fra cultura salentina e turca, insomma mediterranee, è rimasta affascinata. Un giorno mi arriva la telefonata del Principato di Monaco: ‘Verrebbe a suonare qui?’.

Come ha reagito all’invito della principessa Carolina?
Subito ho pensato che fosse il frutto evidente dell’abbattimento di ogni frontiera. Ho accettato con entusiasmo. Ma sono rimasto me stesso. Con i piedi ben piantati nel mio Salento. Mi è stato chiesto di suonare in pubblico e in privato e con questo spirito mi sono ritrovato con i miei musicisti a Palazzo Grimaldi, al ricevimento di nozze di Pierre Casiraghi e Beatrice Borromeo.

Com’è suonare alla Fortezza di Monaco per i reali?
L’ambiente è lussuoso. Con cura di ogni particolare. Ma ho notato che la reazione alla mia musica è la stessa della mia gente. In piazza come nel grande salone del ricevimento monegasco gli invitati ballano ispirati dalle note di pizzica e taranta, viscerali. La principessa Carolina conosce a memoria i testi e li canta. Devo ammettere che ha una sensibilità particolare verso l’arte.

E poi?
Mi è stato presentato il coreografo residente Jean-Crhistophe Maillot, con cui ho lavorato benissimo. La principessa mi ha messo a disposizione la compagnia di Montecarlo con 60 elementi meravigliosi. Vederli danzare sulle mie musiche per realizzare lo spettacolo ‘Core meu’ è stato incredibile. Abbiamo persino fatto una Festa della danza, nel 2017, nella piazza del Casinò di Montecarlo su un mega palco. E poi undici repliche al Grimaldi Forum che hanno avuto un successo pazzesco. L’ultima è del 2021. Poi al padiglione del Principato di Monaco all’Expo di Dubai.

Si è sentito a tuo agio in questa esperienza monegasca?
Mai stato più a mio agio, coccolato. Non con i guanti bianchi ma con i guanti dorati, direi. La Principessa ha assistito a tutte le repliche. Sono venuti tutti i reali allo spettacolo in piazza del Casinò e, finito lo show, il principe Alberto mi ha chiamato in disparte per ringraziarmi e scattare una foto insieme. Un incontro pazzesco. Tante carinerie e un grande tatto. Sono stato trattato da principe. A cena con loro, dopo lo spettacolo, ho parlato delle mie origini contadine con fierezza. Nessuno mi ha fatto notare le differenze. Questo aspetto non fa parte della sensibilità di Carolina e del Principato. Loro sono oltre. E’ un aspetto, per la mia esperienza, molto borghese.

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