“Le chat tra famiglie e insegnanti e tra insegnanti e studenti stanno dilagando e stanno creando grossi problemi, una sorta di cortocircuito. Si creano situazioni anomale”. Mario Rusconi, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi di Roma, sul Corriere della Sera ha anticipato la notizia della revisione del Codice Deontologico e l’intenzione di emanare un regolamento utile per le scuole di tutta Italia. Le chat di classe secondo il presidente devono essere adoperate “in via solamente emergenziale quando succedono dei fatti molto gravi”. Altrimenti piuttosto che risultare utili, rischiano di diventare pericolose”. Creare confusione. Tramutarsi in un sovrapporsi di pensieri in libertà. Forse troppa, da quel che si vede e si legge.

Una prima considerazione, preliminare. Per così dire, di metodo. Non esiste alcuna sostanziale differenza tra scuole elementari e medie e scuole superiori. Se non, almeno parzialmente, per quel che concerne la presenza dei genitori. Che, man mano che il percorso scolastico dei figli procede, si affievolisce. “In presenza”, ma non in chat. Non sempre, ma spesso. Delle chat dei ragazzi è meglio non parlare, forse. Nate, ufficialmente, per scambiare informazioni su compiti da fare ed interrogazioni da preparare, sono diventate “altro”. Un miscuglio di commenti su molto. Spesso senza attinenza diretta con la scuola. Al punto che a volte i ragazzi creano ulteriori chat, di gruppi più ristretti.

Anche i genitori si riuniscono in chat. Come in quelle dei figli, non tutti partecipano attivamente. Anzi convulsamente. Qualcuno legge, timidamente. E risponde quando proprio non ne può fare a meno. Ma quelli che lo fanno, non di rado, si danno un gran da fare. Discettando delle questioni più varie. Di voti, ovviamente. Troppo bassi e ingiusti, naturalmente. Ma anche di posti assegnati. E immancabilmente di compiti. Nella gran parte dei casi così ponderosi da mettere a repentaglio la salute dei propri pargoli. Non mancano suggerimenti per gli insegnanti. Che i malcapitati rappresentanti di classe si vedono costretti a riportare nel primo consiglio disponibile.
Esistono anche chat degli insegnanti. Eccome se esistono! Anzi proliferano. A quelle per ogni consiglio di classe vanno aggiunte quelle di Dipartimento e poi, almeno, quelle d’Istituto. Con la possibilità che se ne aggiunga anche un’altra se si ha in sorte di insegnare presso una sede distaccata.

Le chat degli insegnanti nascono per nobili motivi. Proprio come quelle dei propri alunni. E quelle dei loro genitori. E in molti casi mostrano la loro utilità. Offrendo la possibilità agli smemorati di poter partecipare alla riunione che avevano dimenticato. Oppure di scambiarsi informazioni sull’andamento di un alunno, ma anche di sapere dell’assenza di un collega. Ma accade anche che la chat diventi il luogo per augurare un buon compleanno all’insegnante che proprio quel giorno compie gli anni. Oppure per chiedere di chi sia la tal autovettura parcheggiata proprio in corrispondenza dell’ingresso alla scuola. Non di rado per condividere con il gruppo una visita ad un luogo della cultura.

Per fortuna nella gran parte dei casi la chat rimangono private. Gli alunni sanno solo delle proprie. Come i genitori. Non diversamente dagli insegnanti. In questo modo ogni gruppo risponde a se stesso. E non ad altri. Se esistesse libera circolazione dei contenuti delle diverse chat si scatenerebbe un pandemonio, probabilmente. Con ulteriore detrimento per la Scuola. Il fenomeno nella sua complessità ha assunto contorni preoccupanti. E non da ora, sfortunatamente. “In chat questioni nate dal nulla possono trasformarsi in problemi enormi. Sono una cassa di risonanza micidiale e pericolosa: in tanti scrivono con leggerezza, senza riflettere sulle conseguenze”. Lo ha detto Laura Barbirato, Preside del comprensivo Maffucci di Milano, che ha mandato una lettera a tutti i genitori per metterli in guardia sull’uso scorretto di questi gruppi e ha convocato un’assemblea ad hoc sul tema. Parole pronunciate ad ottobre 2016.

Da allora molto è cambiato. In peggio. Con la scusa di potersi scambiare informazioni, più agevolmente, si è persa la testa. Letteralmente. L’hanno persa i ragazzi, certo. E con loro chi avrebbe dovuto essere la loro “guida”. I loro punti di riferimento. Genitori, a casa. Insegnanti a scuola. Sostenere che questo circolo non virtuoso sia generalizzato sarebbe ingiusto. Minimizzare la questione, pericoloso.

Sarà per l’euforia di poter parlare a ruota libera? Oppure per la convinzione che la libertà non abbia limiti? Ancora, perché l’”io” ha da tempo soppiantato il “noi”? Sulle ragioni temo non esistano certezze. Forse si tratta di una concausa. Complessa. Variegata. Alla cui realizzazione sono tutti un po’ responsabili. In parti differenti. Ma responsabili. Perché ognuno ha derogato ai suoi compiti. Ha travalicato i confini che il proprio ruolo suggeriva. Spesso. Così i ragazzi sono ad intermittenza bambini ed adulti. Che a loro volta si trasformano ora in insegnanti, ora in figli dei loro figli. Gli insegnanti? Si adeguano, nella gran parte dei casi. Un po’ per convinzione, un po’ per stanchezza. Si adeguano a quel che la scuola è diventata, sbagliando. Quanto ai dirigenti scolastici, che dire? Frequentemente amministrano gli istituti che presiedono piuttosto che governarli. Forse anche per questo spesso si è troppo indulgenti con i ragazzi. Sia per quel che riguarda il rispetto delle regole che per quanto riguarda il profitto.

I gruppi Whatsapp sono un problema, certo. Ma non il problema. Il declino della scuola è iniziato da tempo. E i risultati sono ormai evidenti, purtroppo.

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