L’esodo ucraino verso l’Europa ha una porta principale che si chiama Polonia. Dall’invasione russa del 24 febbraio, i dati dell’UNHCR indicano che due milioni e mezzo di persone hanno varcato la frontiera polacca. Quattro volte quelle entrate in Romania, più di sei volte quelle che hanno riparato in Ungheria. Ma il volto polacco dell’Unione europea non è solo quello solidale che si mostra ai valichi dove approda chi lascia l’Ucraina. Più a nord, altri profughi di altre guerre attraversano la frontiera in cerca di asilo, e l’Ue mostra loro un’altra faccia. Dove la Polonia confina con la Bielorussia, profughi provenienti da paesi come Afghanistan e Siria subiscono abusi e respingimenti illegali. “Il problema principale è il mancato rispetto delle regole, e il clima di impunità in cui opera la Guardia di frontiera polacca”, spiega Małgorzata Jaźwińska, avvocato di Varsavia che la settimana scorsa ha vinto in un ricorso presentato da tre afgani, arrestati e poi respinti in Bielorussia nonostante avessero espresso volontà di fare richiesta d’asilo. Abusi che secondo la legale riguardano migliaia di casi solo nell’ultimo anno. Preoccupazione per la salute dello stato di diritto nel Paese è stata espressa a vari livelli in Europa, ma sulle violazioni e gli abusi ai migranti l’Unione europea non è ancora arrivata a una condanna formale, più concentrata a sanzionare le violazioni del governo bielorusso che a vedere quanto accade all’interno dei propri confini.

A est la Bielorussia, che attraverso le sue sedi diplomatiche nel Kurdistan iracheno e in Turchia concede visti e agevola l’arrivo di migranti che poi spinge verso la frontiera esterna dell’Ue. A ovest la Polonia, estremo baluardo di un’Unione europea che ha sanzionato il governo del premier bielorusso Aljaksandr Lukašėnka per violazione dei diritti umani, e che a fine 2021 ha ulteriormente inasprito il confronto proprio a causa della “strumentalizzazione” dei migranti, usati come “armi” contro la nemica Europa. Migranti che così rimangono incastrati nei boschi, in un lembo di terra a pochi passi dalla linea di confine, accampati tra fame e freddo nell’attesa di tentare nuovamente l’ingresso, nella speranza di non essere respinti. Quasi che la strumentalizzazione bielorussa sia anche colpa loro, o come bastasse a giustificare la sospensione delle leggi internazionali ed europee sul diritto d’asilo, la Polonia ha appaltato alla propria polizia di frontiera migliaia di respingimenti illegali. E nonostante i pronunciamenti della Corte europea per i diritti dell’uomo, così come altri casi pendenti a livello nazionale ed europeo, il governo polacco continua a negare l’esistenza di pratiche illegali e a difendere la guardia di frontiera.

Anche nella causa che si è chiusa il 28 marzo al tribunale di Bielsk Podlaski, cinquanta chilometri dal confine bielorusso, a coprire le spalle alla polizia di confine sarebbe dovuta bastare un’ordinanza degli Affari Interni del 2021, che consente di limitare o sospendere il traffico di frontiera. In base a quel regolamento, le guardie frontaliere giustificano i respingimenti su tutta la linea di confine. Al contrario, la giudice Joanna Panasiuk ha ricondotto la competenza ministeriale ai soli valichi di frontiera, e dichiarato l’arresto, la detenzione e il respingimento di tre afgani, la notte del 29 agosto 2021, “ingiustificato, illegale e disumano”. “È la prima volta che un tribunale polacco utilizza il termine “disumano” per condannare l’operato della guardia di frontiera”, spiega a ilfattoquotidiano.it Małgorzata Jaźwińska, rappresentante legale dei tre afgani nel ricorso. “Inoltre, il giudice ha finalmente confermato quanto parte della società civile e tanti giuristi sostengono da tempo sull’ordinanza degli Affari Interni”. La implicazioni politiche della sentenza sono tanto più importanti in un Paese dove la stessa indipendenza della magistratura è in pericolo, dopo le riforme attuate a partire dal 2015 che affidano al ministro della Giustizia il potere di distaccare i giudici. Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione, il potere attribuito al Guardasigilli viola i Trattati e comporta “il rischio che sia impiegato quale strumento di controllo politico del contenuto delle decisioni giudiziarie”.

Ma la sentenza del 28 marzo va oltre, descrivendo nei dettagli la sospensione dello stato di diritto: “Manca qualsiasi documentazione e i ricorrenti non sono stati istruiti sui loro diritti, né informati del motivo della detenzione. E l’avvocato, che pure si è presentato con regolare procura al posto di guardia di frontiera di Narewka, per ragioni sconosciute non è stato ammesso”. Inoltre, la sentenza cita un video in cui gli stranieri manifestano espressamente alla polizia di frontiera la volontà di richiedere la protezione internazionale. Volontà tutelata dal diritto e invece ignorata dagli agenti. Infine, la giudice smentisce la difesa della guardia di frontiera, quando sostiene che la detenzione serviva “a nutrire e far riposare” gli afgani: “Lo scopo della detenzione era di portare gli stranieri al confine polacco-bielorusso di notte – al riparo da possibili osservatori, telecamere e giornalisti. A parte il fatto che trasportare un gruppo di persone nel mezzo della notte, nel profondo di una inospitale riserva naturale e prive di vestiario e attrezzatura adeguati, era profondamente disumano, quanto accaduto è anche illegale”.

La ricostruzione assomiglia a quella di tanti altri episodi. “Migliaia le persone respinte di cui siamo venuti a conoscenza tra il 2021 e il 2022, per la maggior parte fuggite dall’Afghanistan, dalla Siria e dall’Iraq”, spiega l’avvocato Jaźwińska, membro dell’Associazione per l’Intervento Legale di Varsavia che ha portato il caso dei tre profughi anche alla Corte europea per i diritti dell’uomo. La questione però non riguarda solo l’operato di un corpo di polizia e gli ordini che riceve. Perché qualcosa cambi, i risultati di Jaźwińska e colleghi dovranno uscire dalle aule dei tribunali. “Ma al momento c’è un forte clima di impunità e le autorità polacche credono di poter ignorare la legge, respingere illegalmente le persone e detenerle. E gli ufficiali di frontiera non temono perché sanno di essere ben protetti”, spiega l’avvocato. Che sulle conseguenze della sentenza non si fa illusioni: “Se lo stato di diritto fosse in salute, decisioni come questa avrebbero conseguenze e innescherebbero altri processi. Ma in Polonia non è così”. Racconta che le cose hanno iniziato a cambiare già dal 2013: “Da allora la riluttanza degli agenti di frontiera ad accettare le richieste d’asilo è diventata sistema, e senza la loro collaborazione non c’è possibilità che le cose cambino”.

Ed è sbagliato pensare che agli ufficiali appartenga un sentire estraneo al resto del paese. A gennaio la reporter Dorota Borodaj è riuscita a intervistare un guardia di frontiera, uno dei tanti rinforzi mandati al confine bielorusso. Che racconta di come “i colleghi più giovani credono a quello che dice loro la propaganda della televisione di stato: che le sinistre devono essere cacciate, che siamo lì per difendere i confini dai terroristi”. Poi i respingimenti, tra i boschi inospitali e la paludosa brughiera del parco naturale di Białowieża, una delle ultime foreste primordiali d’Europa. Nell’intervista pubblicata dalla testata investigativa Oko.press, la guardia parla delle persone ammanettate, dei cellulari messi fuori uso, di uomini, donne e bambini stremati e caricati sui camion e spinti a forza oltre confine, attraverso un buco nelle reti metalliche che gli agenti chiamano “macchina dei pacchi”. Compreso chi ha avuto una crisi epilettica e le donne che hanno inutilmente mostrato la loro gravidanza. “Nessuno viene creduto. E quelli che spingiamo oltre la rete ci implorano di non tornare in Bielorussia. A volte dicono che non vogliono più andare da nessuna parte, né in Germania né in Polonia, vogliono solo tornare a casa”.

Lo scorso anno ha fatto notizia in tutto il mondo la decisione di Varsavia di costruire un muro di 186 chilometri lungo il confine bielorusso. Meno rumore, invece, ha fatto lo scontro parlamentare tra maggioranza e opposizione sulla nomina del nuovo Commissario per i diritti umani, uno stallo durato mesi. L’istituzione è poco amata dai partiti di maggioranza e apertamente osteggiata dalle estreme destre. Anche perché è obbligata per dovere costituzionale a controllare il rispetto di libertà e diritti, compresi quelli degli stranieri. Prima di lasciare il posto al successore Marcin Wiącek, lo scorso luglio il professor Adam Bodnar ha consegnato una relazione sulle proposte del ministero dell’Interno per la riforma delle politiche migratorie. “Manca la garanzia di accesso alla procedura di esame di una domanda di protezione internazionale per le persone che dichiarano tale intenzione alla frontiera della Repubblica di Polonia”, scrive, contestando l’idea “di affidare al Comandante in capo della Guardia di frontiera l’esame dei ricorsi contro le decisioni di espulsione. Affidare alle guardie di frontiera il giudizio sui diritti e le libertà dell’uomo pone un rischio di conflitto tra interessi pubblici, cioè la protezione delle frontiere e la prevenzione dell’immigrazione irregolare da un lato, e la tutela dell’essere umano e il rispetto dei suoi diritti dall’altro”. Avvertimenti di un’istituzione alla quale il governo aveva già ridotto del 20 percento il budget per l’attività di controllo del Commissario.

I rifugiati in Polonia non arrivano a 1.500, e in base all’Asylum Information Database (AIDA) le domande di protezione internazionale accolte sono appena il 16 percento di quelle presentate. In appello, poi, quelle respinte sono il 99,5 percento (rapporto 2020). Eppure, la paura dell’invasione funziona, e non è un caso se proprio la Polonia ha insistito, insieme agli altri paesi di Visegrad, perché la protezione temporanea che l’Ue ha accordato ai profughi del conflitto ucraino venisse applicata in modo selettivo, escludendo buona parte degli stranieri legalmente soggiornanti in Ucraina. Compresi quelli che non possono tornare al paese d’origine e dovranno fare i conti con gli ordinamenti nazionali degli Stati membri, a partire da quello Polacco, che per le persone in attesa di regolarizzare la propria presenza “non prevede alcun beneficio”, scrive l’AIDA. Un compromesso, quello sulla protezione temporanea, che il Consiglio dell’Unione ha accettato, incapace di rinunciare all’unanimità anche quando la normativa non la richiede. E’ la stessa Unione europea che, ricorda Gianfranco Schiavone dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), “non ha mai condannato le violazioni del diritto europeo al confine polacco”.

Anzi, scrive Schiavone sul mensile Altreconomia, “il 14 dicembre 2021 la Commissione europea ha presentato al Parlamento Ue una proposta di nuovo Regolamento per “gestire efficacemente le frontiere esterne dell’Ue” quando “un paese terzo istiga flussi migratori irregolari verso l’Unione incoraggiando attivamente o facilitando lo spostamento di cittadini di paesi terzi verso le frontiere esterne, e la natura di tali azioni può mettere a rischio funzioni essenziali dello Stato””. Oggi, venerdì 8 aprile, proprio mentre la presidente Ursula von der Leyen fa visita alla Polonia, la Commissione Ue ha annunciato il taglio di trasferimenti di fondi europei alla Polonia per 69 milioni di euro, come parte delle sanzioni imposte per la mancata osservanza di una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che impone l’abolizione della sezione disciplinare della Corte suprema polacca, responsabile della destituzione di alcuni giudici critici nei confronti del governo e mai reintegrati. L’Unione ha ribadito più volte al governo polacco che dal rispetto dello stato di diritto dipendono anche i fondi del Pnrr. Ma lo stato di diritto deve essere rispettato fino all’ultima linea di confine, e il conflitto ucraino potrebbe contribuire a mettere da parte la questione, come in tanti temono anche al Parlamento europeo.

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