Sono numerosi i Comuni italiani che hanno dato vita ad iniziative locali finalizzate ad adottare norme regolamentari per la gestione partecipata dei beni comuni urbani ed è bene che il governo e il parlamento si lasci contaminare. Esperienze virtuose arrivano dai grandi comuni come Torino, Napoli, Bologna e dalla rete dei comuni che hanno adottato regolamenti utili ad innovare le forme di gestione dei beni comuni, per beni abbandonati o in disuso, per uso collettivo, andando oltre il concetto di proprietà e stabilendo accordi tra enti locali e cittadini.

I beni comuni, dunque, diventano strumento di partecipazione, ma anche di contrasto all’esclusione sociale. Si può elaborare un nuovo modello di comunità funzionale al governo e alla gestione dei beni comuni e al loro accesso senza utilizzare come unica ricetta la privatizzazione.

In questi anni il M5S si è trovato solo in Parlamento e al governo su questi temi ed è per questo che su questi temi, dopo il referendum per l’acqua pubblica del 2011, non ci sono stati passi significativi nel percorso dei beni comuni, nonostante l’impegno del deputato D’Ippolito in commissione ambiente sul disegno di legge della Commissione Rodotà. Per rilanciare questo percorso il M5S 2050, guidato da Giuseppe Conte, ha scelto come valori fondanti i Beni Comuni e l’Ecologia Integrale nella propria carta statutaria ed è arrivato il momento di reagire e rilanciare il protagonismo dei beni comuni nel nostro Paese, dopo uno stop per più di 10 anni.

Nel nostro ordinamento giuridico non è presente la categoria dei beni comuni, in quanto manca una legge che li disciplini. Tuttavia i beni comuni sono stati riconosciuti dal diritto grazie ad alcune sentenze, la n.3665 del 2011 da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che li ha definiti, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione, desumibile dagli articoli 2 (dovere di solidarietà), 9 (tutela del patrimonio culturale) e 42 (funzione sociale della proprietà) della Costituzione italiana e per questo sottratti dalla logica proprietaria dell’economia e collocati fuori commercio anche nell’ottica di una fruizione collettiva alla salvaguardia per le generazioni future.

Per questo ho deciso di sfruttare il disegno di legge Concorrenza, che parla anche delle privatizzazioni, per dare seguito alle sentenze della Corte Costituzionale che è stato il primo organo in Italia a riconoscere i beni comuni facendo giurisprudenza su questo tema. L’art. 6 del ddl Concorrenza deve essere sfruttato da tutto il parlamento per introdurre una disciplina dei beni comuni e servizi essenziali fuori dalle regole del mercato introducendo anche nuovi strumenti a vantaggio dei cittadini come le cooperative di comunità, riconosciute dalla Corte Costituzionale nella sentenza .131 del 26/06/2020. E’ quanto prevede il mio emendamento proposto nella discussione al Senato.

I beni comuni attribuiscono centralità alla difesa degli habitat naturali, costruire un nuovo equilibrio rispetto alle necessità sociali ed economiche, riportando tutto alla giusta scala di priorità. L’approvazione di questa norma sarebbe il primo omaggio alla nuova Costituzione che tutela ambiente e generazioni future promuovendo un percorso coerente avviato dal M5S. I Beni comuni e le cooperative di comunità sono anche strumento per valorizzare i rapporti di solidarietà e di cooperazione dei cittadini che spesso sono considerati un intralcio all’economia di mercato, ma non per i sindaci e le giunte del nostro Paese che si rendono conto di quanto questi strumenti sono utili ai diritti e all’accesso dei cittadini alla democrazia.

Patti di collaborazione e cooperative di comunità permettono una cessione di potere dall’alto verso il basso. Ciò implica che un’aiuola, uno spazio condiviso, un quartiere o un borgo possono essere gestiti da soggetti residenti all’interno dello stesso territorio, quando in condizioni di vulnerabilità e di un bisogno specifico viene sviluppata un’attività economica finalizzata al benessere collettivo e non alla massimizzazione del profitto, con l’ente pubblico che vigila al rispetto dei criteri di patti di collaborazione e che risponde a politiche di accesso, di inclusione e di funzione sociale. Facciamolo, è ora il momento di dare un segnale forte sui beni comuni raccogliendo le migliori esperienze già attive nel Paese.

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