di Pasquale Aiello

Nelle zone dilaniate dalla guerra in Ucraina, la popolazione fugge tramite autoveicoli, treni e attraverso impervi e lunghi sentieri. Nel bel mezzo di un improbabile “cessate il fuoco”, frutto della contro-narrativa strategica russa, i genitori distrutti dal dolore vedono morire i propri bambini mentre le truppe inviate da Putin continuano a bombardare le città assediate. Quindici giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite stima che 1,45 milioni di persone sono fuggite dal paese martoriato dalla forza militare russa. Sono numeri spaventosi, così com’è terribile la tragedia umanitaria che nonostante i tentativi di mitigazione mediatica del Cremlino viene parzialmente documentata dai coraggiosi giornalisti che hanno deciso di restare sul fronte di guerra.

Quindici giorni che apparentemente stanno cambiando il mondo. Questi quindici giorni sono la conseguenza di anni di preparazione da parte di Putin e del suo “establishment”. Lunghi anni durante i quali si è fatto finta di non vedere la volontà di ripristinare la vecchia Unione Sovietica. L’Occidente e anche l’Estremo Oriente hanno preferito procrastinare a tempo indeterminato, stringendo partnership economiche e finanziarie con la Federazione russa per anni. Ancora oggi la Cina mantiene quella apparente neutralità che poi così neutrale e apparente non è. La stessa Cina con la conferenza di Pechino del 2006 – “amicizia e cooperazione” – ha tracciato la propria visione del futuro, avviando paradossalmente l’era del Colonial-Capitalismo in Africa.

Dall’altra parte del mondo, gli Stati Uniti d’America hanno scelto un Presidente che si è dimostrato molto più “Americanista” che “Atlantista” rispetto ai propri predecessori. Biden non sembra aver “curato” sufficientemente i rapporti internazionali con l’Oriente e il Medio Oriente, lasciando lacune sul campo che vanno ben oltre l’abbandono dell’Afghanistan. Un altro elemento che sta condizionando l’opinione pubblica in questi giorni di guerra è l’utilizzo dei social media per supportare la narrativa e la contro-narrativa dei governi ucraino e russo. “Narrativa” sembra aver preso il posto di “disinformazione”. Via i virologi in tv, sono arrivati i generali.

Comunque, è innegabile che la guerra Ucraina-Russia si stia svolgendo anche sui social media. L’Ucraina ha pubblicato post sulla situazione di guerra dall’inizio del conflitto mentre i russi sono stati bombardati da post contro la guerra e contro Vladimir Putin. Gli stessi cittadini russi, comprese celebrità e influencer, si sono schierati contro la guerra e a favore della libertà dell’individuo come essere umano.

Il Cremlino aveva chiesto a Meta di fermare il fact checking indipendente e l’etichettatura dei contenuti su Facebook pubblicati da quattro testate giornalistiche russe. Resiste a censure e oscuramenti Telegram, di proprietà russa. Apparentemente questa guerra la sentiamo più vicina non solo per una questione geografica ma anche per l’esposizione mediatica che la stessa sta avendo rispetto ad altri conflitti in corso o del passato. Ma la guerra dei social media sta diventando sempre più disordinata e confusionaria giorno dopo giorno, fino ad arrivare ai 15 giorni che apparentemente stanno cambiando il mondo. Apparentemente, perché i servizi segreti americani sapevano, i russi sapevano e probabilmente molti altri conoscevano quello che sarebbe accaduto – ma tutti hanno preferito far finta di niente.

Apparentemente il mondo sta cambiando, ma in realtà è sempre stato così. Questi 15 giorni di guerra hanno solo fatto uno zoom con una lunghezza focale più ampia rispetto al passato. È arrivato il momento delle scelte per i potenti equilibristi globali. Il mondo non cambierà ma potrebbe diventare invivibile realmente, non apparentemente.

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