“Una breve tregua in sole due città, tra l’altro velocemente naufragata, non può essere considerata un passo in avanti. È solo una goccia nell’oceano, anzi il preludio di una più pesante offensiva russa. Mosca, al momento, non sembra avere alcuna intenzione di fare concessioni, è anzi determinata ad andare avanti”. Marco Di Liddo, analista ed esperto di Russia per il Centro Studi Internazionali (Cesi), è convinto che qualsiasi risultato concreto in direzione di una de-escalation nella crisi ucraina sia ancora ben lontano, nonostante i due round negoziali tra i rappresentanti di Mosca e Kiev che, al momento, non hanno portato progressi.

La tregua temporanea è fallita dopo poche ore e i corridoi umanitari da Mariupol e Volnovakha non sono nemmeno potuti partire. Ma il tentativo di cessare le ostilità per far evacuare le persone può essere considerato un primo passo verso la distensione?
Assolutamente no. Intanto non stiamo parlando di un vero cessate il fuoco, che sarebbe un enorme passo in avanti per la situazione in cui ci troviamo adesso ma che dovrebbe comprendere tutti i territori interessati dal conflitto e non solo due città. Se a questo si aggiunge il fatto che la tregua è naufragata poco dopo la proclamazione, capiamo che la Russia non ha alcuna intenzione di avviare adesso un processo di distensione.

Cosa glielo fa dire?
Lo dicono i dati, le evidenze. Abbiamo assistito a un’apertura russa sui contenuti del conflitto? No. Putin ha continuato a sostenere la sua volontà di “andare fino in fondo” con l’operazione? Sì. Non c’è alcuno spazio per i negoziati e nessuna possibilità di sedersi al tavolo seriamente, almeno adesso. Continuano a parlare di neutralità dell’Ucraina, ma sono parole vuote. Hanno dimostrato che oggi dicono una cosa e domani possono farne tranquillamente un’altra. Senza un atto concreto da parte della Russia non si può sperare in nuovi negoziati.

Una tregua, se non un cessate il fuoco, non potrebbero essere anche una buona occasione per la Russia?
Certamente, ma solo una buona occasione per rifiatare, per riorganizzarsi, per prepararsi a una nuova e, sperano, definitiva offensiva di una guerra che sarebbe dovuta concludersi molto prima, almeno nei loro piani. Le immagini e le informazioni raccolte parlano chiaro: tra le truppe russe scarseggiano il cibo, la benzina, gli pneumatici dei mezzi sono completamente consumati. È per questo che si sono fermati alle porte delle città e stanno conducendo bombardamenti senza avanzate clamorose. Una sosta faciliterebbe i rifornimenti.

Ma l’economia russa quanto è in grado di reggere una guerra come questa accompagnata da sanzioni così dure?
È veramente difficile poterlo dire perché su questa previsione agiscono diversi fattori: non solo quello economico, ma anche quello delle motivazioni, del supporto pubblico e della capacità delle truppe di resistere alle difficoltà. L’unica stima attendibile che abbiamo è quella fornita dall’intelligence americana secondo cui con altre due settimane di conflitto il Paese sarebbe sull’orlo del collasso.

Mettere Putin alle strette potrebbe essere però rischioso, vista la spregiudicatezza dimostrata nelle ultime settimane…
Metterlo all’angolo potrebbe causare reazioni scomposte e drammatiche. È ciò che la Nato e il blocco occidentale vogliono assolutamente evitare, tanto da non prendere in considerazione alcun tipo di intervento militare. Ma il rischio c’è.

Un’eventuale evacuazione dei civili sarebbe solo il preludio di un bombardamento a tappeto delle città, come in Siria?
Sfortunatamente sì, la tregua prima della tempesta. Come in Siria, ma anche come a Groznyj, in Donbass o a Varsavia nella Seconda Guerra Mondiale. È un modus operandi che Mosca e altri governi nella storia recente hanno già utilizzato in diversi scenari.

Ma un’azione del genere, che provocherebbe un altissimo numero di vittime, non rischierebbe di compromettere i rapporti tra la Russia e quei Paesi che ancora non l’hanno scaricata?
Se ci si riferisce alla Cina, a mio parere Pechino già adesso non è affatto contenta del comportamento mostrato da Putin. Non c’è stata una condanna forte, ma non è nello stile del Partito Comunista Cinese. Quei richiami alla de-escalation, alla normalizzazione, sono innanzitutto dei messaggi diretti a Mosca. Perché a Pechino questa destabilizzazione non piace affatto.

E allora perché Putin si sta spingendo così in avanti?
Sta facendo all-in. Probabilmente spera di potersi fermare prima arrivando a un tavolo negoziale con una posizione forte, ma è comunque disposto a prendersi il rischio e ad andare fino in fondo.

Twitter: @GianniRosini

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