“Lei ha sempre fame”, diceva Gollum nel Signore degli Anelli. La lei in questione era un ragno gigantesco chiamato la Vecchia Flo, che divorava chiunque osasse addentrarsi nelle grotte di montagna che costituivano la sua tana. La Vecchia Flo del calcio odierno è rappresentata dai club di punta dell’Eca, l’Associazione di Club Europei che rappresenta le società calcistiche a livello continentale. Una fame bulimica di denaro, ben rappresentata dal progetto poi abortito della Superlega, alimentata nel corso degli anni da quella stessa Uefa che ha poi combattuto la Superlega con tutte le sue forze, uscendone in apparenza vincitrice, ma in realtà sempre più schiava del mostro che ha creato attraverso format sempre più elitari dei tornei europei. Il progressivo depotenziamento del fair play finanziario è un esempio di questa erosione dei margini di manovra della Uefa, ma è con la bozza della nuova Champions League prevista per il triennio 2024-2027 che è stata certificata la resa definitiva alla fame del mostro. Per evitare di essere divorata, la Uefa non può che alimentare le Vecchie Flo attraverso un incremento del numero delle partite, che significa più soldi, ripartiti però con i vecchi criteri, e quindi destinati ad aumentare ulteriormente il divario tra le élite e il resto delle squadre. Per i campionati nazionali sarà una pietra tombale.

La scorsa settimana il presidente dell’Eca Nasser Al-Khelaifi ha inviato una mail agli oltre duecento membri dell’organizzazione illustrando i ricavi stimati per Champions, Europa e Conference League per il triennio 2024-2027. Gli accordi sulla vendita dei diritti vengono infatti stipulati ogni tre anni, e uno dei principali capi d’accusa rivolti all’Uefa dai club che spingevano per la Superlega era l’incapacità di quest’ultima di ottenere ricavi maggiori dalla vendita di tali diritti. Si vedeva insomma del potenziale di guadagno non sfruttato. Ma dal momento che l’Uefa è un’organizzazione che rappresenta le federazioni nazionali e non i club, questi non posseggono alcuna influenza formale sulla composizione del consiglio direttivo e sulle politiche attuate dal massimo organismo calcistico del continente. Anche se, nel frattempo, i tornei per club sono diventati l’attività più importante della Uefa, rendendola più ricattabile rispetto al passato. Non è un caso che, subito dopo lo sventato golpe della Superlega, Uefa ed Eca si sono sedute a un tavolo e hanno iniziato a collaborare seriamente, analizzando possibilità e prospettive del ciclo successivo all’attuale triennio 2021-2024.

Il risultato è che, a partire dal 2024, la Champions League passerà da 32 a 36 squadre, ma la fase a gironi da quattro squadre sarà sostituita da un maxi gruppo da 36 squadre oppure da due gruppi da 18 ciascuno (la decisione non è ancora stata presa), in cui i club si affronteranno secondo il sistema svizzero, un modello utilizzato in discipline quali scacchi e bridge (ma anche nel notissimo gioco di carte Magic: The Gathering) nel quale i turni, predefiniti in partenza, prevedono sfide tra partecipanti che abbiano accumulato lo stesso punteggio, oppure un punteggio simile. Da questo mini-campionato (o mini-campionati, dipende appunto dalla scelta adottata) le prime 8 squadre si qualificheranno direttamente per la fase a eliminazione diretta, mentre quelle comprese tra la 9na e la 25esima posizione si affronteranno in un sistema di playoff dal quale usciranno le altre 8 qualificate agli ottavi di finale. Questo format porterebbe le partite da 125 a 225, aumentando i ricavi dagli attuali 3.9 miliardi di euro a 5 miliardi. Questa almeno è la stima fatta da Al Khelaifi.

Annualmente la Uefa destina il 78% dei propri ricavi ai club, ripartendo la somma secondo il seguente criterio: 74.36% alla Champions League, 17.03% all’Europa League e 8.60% alla Conference League. Come scritto sopra, i criteri di riparto non verranno toccati, pertanto se nel triennio 2018-2021 la torta della Champions da dividersi ammontava a 2.030 milioni di euro (a fronte di ricavi totale pari a 2.730), in quello attuale si è passati a circa 2.900 milioni (su un totale di 3.900), mentre seguendo l’ipotesi (5.000 milioni di ricavi) del presidente del Paris Saint Germain il ciclo 2024-2027 porterà i club di Champions a spartirsi 3.718 milioni di euro. Facile immaginare l’effetto di questo fiume di denaro sulla competitività interna dei campionati nazionali. I numeri non mentono: tra il 1999 e il 2003 in Europa hanno vinto il titolo nazionale 90 club diversi, mentre tra il 2014 e il 2018 il numero si è abbassato a 72.

Non è però finita. Per evitare che qualche big rimanga esclusa da questo El Dorado, la Uefa ha deciso di assegnare due dei 36 posti disponibili attraverso il proprio ranking per club, costituito attraverso le prestazioni europee delle squadre nel quinquennio precedente, prescindendo quindi dal posizionamento ottenuto dal club nel proprio campionato la stagione precedente. E’ l’evoluzione del concetto di wild card teorizzato anni fa da Adriano Galliani quando il Milan cominciava a perdere colpi. Se applicato oggi, significherebbe che un ipotetico quinto posto finale della Juventus in Serie A a fine stagione consentirebbe comunque ai bianconeri di qualificarsi per la Champions, visto che nel ranking Uefa sono attualmente ottavi alla spalle delle corazzate che tutti conosciamo: Bayern Monaco, Manchester City, Liverpool, Chelsea, Real Madrid, Paris Saint-Germain e Barcellona. Esiste però una stortura alla quale la Uefa dovrà porre rimedio: il nuovo format non prevede più di quattro squadre partecipanti per paese, e nel caso dell’esempio sopra citato la Juventus andrebbe ad aggiungersi a Milan, Inter, Napoli e Atalanta. Se poi la Lazio dovesse vincere l’Europa League, si arriverebbe a sei partecipanti. Un bel rebus.

Oltre all’incremento del divario tra have e have-nots nei singoli campionati (il fondo di solidarietà per i club esclusi dalle competizione europee è talmente frazionato, a causa dell’elevato numero degli aventi diritto, da essere equiparabile a una manciata di briciole, oltretutto abbassata al 4% dei ricavi totali, mentre durante l’era Platini era al 5%), la riforma delle coppe aumenterebbe anche il gap tra i singoli campionati, ovvero tra quelli di élite e i rimanenti, questi ultimi sempre più confinati nel ruolo di farmhouses o di palestre. Non è un caso che negli ultimi anni la Uefa abbia mostrato una flessibilità inconsueta nei confronti di progetti che studiano la possibilità di creare campionati transnazionali come la BeNeLiga belga-olandese. Tutto pur di placare la fame delle Vecchie Flo che ha cresciuto e alimentato nel corso degli anni.

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