Il direttore dell’Espresso Marco Damilano ha dato le dimissioni dopo che l’editore Gedi, gruppo Exor, ha confermato di essere in trattativa per la vendita della storica testata. La società presieduta da John Elkann potrebbe vendere a Bfc Media, oggi attiva nell’informazione sui prodotti finanziari e acquisita di recente da Danilo Iervolino, che ha comprato anche la squadra di calcio Salernitana. Secondo Italia Oggi tra i candidati alla direzione ci sono Paolo Madron e Milena Gabanelli. “Questa mattina ho scritto una mail all’ingegnere John Elkann per comunicare la mia decisione”, scrive Damilano in un saluto ai lettori pubblicato venerdì pomeriggio sul sito del settimanale fondato nel 1955 da Carlo Caracciolo e Eugenio Scalfari, in cui racconta di aver “appreso della decisione di vendere da un tweet di un giornalista, due giorni fa”, dopo “mesi di stillicidio continuo, di notizie non smentite, di voci che sono circolate indisturbate e che hanno provocato un grave danno alla testata“. La cessione “in questo modo e in questo momento rappresenta un grave indebolimento del primo gruppo editoriale italiano“, scrive. La rappresentanza sindacale dei giornalisti fa sapere che la redazione “condivide pienamente le motivazioni delle dimissioni” di Damilano, a cui “esprime la sua totale solidarietà e che ringrazia per questi quattro anni insieme”. Da oggi la redazione è in stato di agitazione e proclamerà “le giornate di sciopero necessarie per impedire l’uscita del numero dell’Espresso attualmente in lavorazione”.

Durissime le parole del direttore uscente: “È una decisione che recide la radice da cui è cresciuto l’intero albero e che mette a rischio la tenuta dell’intero gruppo. È una pagina di storia del giornalismo italiano che viene voltata senza misurarne le conseguenze”. E ancora: “Ho cercato sempre di fermare una decisione che ritengo scellerata. Mi sono battuto in ogni modo, fino all’ultimo giorno, all’ultima ora. Ma quando il tempo è scaduto e lo spettacolo si è fatto insostenibile, c’è bisogno che qualcuno faccia un gesto, pagando anche in prima persona. Lo faccio io. Lo devo al mestiere che amo, il giornalismo. E soprattutto lo devo alla mia coscienza“.

Il giornalista, che ha diretto la testata per quattro anni e mezzo e ci ha lavorato per ventidue anni, spiega di aver “più volte offerto la mia disponibilità in prima persona a trovare una soluzione per L’Espresso, anche esterna al gruppo Gedi, che offrisse la garanzia che questo patrimonio non fosse disperso. Ma le trattative sono proseguite senza condivisione di un percorso, fino ad arrivare a oggi, alla violazione del più elementare obbligo di lealtà e di fiducia“. “L’indipendenza”, continua, “è uno dei valori contenuti nella carta Gedi, accanto alla coesione. Con la redazione dell’Espresso abbiamo difeso questi valori, in anni difficili, sul piano editoriale e industriale. In una situazione di crisi del mercato editoriale e con la difficoltà di far decollare la transizione digitale sempre annunciata e mai praticata. Mentre i giornali tradizionali perdono copie, lettori, peso politico, credibilità, fiducia. La categoria dei giornalisti fatica a parlarne, si attarda nella difesa di quote di mercato sempre più ridotte”.

Gli editori “tendono a scaricare le colpe della crisi sui costi industriali della produzione. Si pensa di risolvere la situazione rincorrendo le nuove opportunità offerte dal digitale, come in altri parti del mondo. Anche in Italia ci sono imprese che stanno dimostrando di saper affrontare con successo le sfide della transizione. Ma non si può farlo immaginando di perdere la propria identità. L’anima, il carattere di una testata. È una scorciatoia che disorienta il pubblico e che prima o poi si dimostra illusoria”. Gedi “è nel cuore di questa crisi. In un gruppo che aveva sempre fatto della solidità, della stabilità e della continuità aziendale e editoriale il suo modo di essere, soltanto durante la mia direzione si sono alternati due gruppi proprietari, due presidenti, tre amministratori delegati, tre direttori di Repubblica. E ora si vuole far pagare al solo Espresso l’assenza di strategia complessiva“.

L’Espresso “è un pezzo di storia dell’intero Paese”, continua Damilano. “Un Paese che rischia di diventare ancora più fragile in una funzione essenziale, la libertà di stampa, l’autonomia del giornalismo dai poteri, il ruolo critico di controllo verso chi governa le strutture politiche, economiche, finanziarie. Ogni volta che c’è un cedimento, una cessione, è un pezzo che viene meno. E di questa storia L’Espresso non è comprimario, ma protagonista. Per questo non c’è nulla di personale in questo mio saluto. L’Espresso è sempre stato la mia casa e Gedi ha garantito il lavoro del nostro giornale. Ma se la casa viene cambiata, dall’arredamento alle suppellettili, fino a venderla, non resta altro da fare che prenderne atto. È una questione di coscienza e di dignità. Mi è stata offerta la possibilità di restare, ringrazio, ma non posso accettare per elementari ragioni di dignità personale e professionale. Non è una questione privata, spero che tutto questo serva almeno a garantire all’Espresso un futuro e ad aprire un dibattito serio sul ruolo dell’informazione nel nostro Paese”.

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