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Il “miracolo” di Sofia Goggia, dietro la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Pechino c’è una cura speciale: parla l’ortopedico che l’ha operata

La lesione parziale del legamento crociato del ginocchio sinistro e la microfrattura alla testa del perone, diagnosticati dopo la caduta della campionessa dai medici federali Andrea Panzeri e Herbert Schoenhubert, richiedevano tempi biologici più lunghi per ripararsi

di Ennio Battista

Lo hanno definito “miracolo”, ma a ben guardare la rapida guarigione della sciatrice Sofia Goggia è il risultato di un grande lavoro di squadra. La lesione parziale del legamento crociato del ginocchio sinistro e la microfrattura alla testa del perone, diagnosticati dopo la caduta della campionessa dai medici federali Andrea Panzeri e Herbert Schoenhubert, richiedevano tempi biologici più lunghi per ripararsi. Invece la Goggia ha concentrato tutto in pochissimi giorni a disposizione. E dopo poche settimane dall’infortunio di Cortina, ecco che ha gareggiato nella gara di discesa alle olimpiadi invernali di Pechino, conquistando l’argento. I meriti di questo risultato sono da ripartire tra la potenza fisica, il grande coraggio e la forza di volontà dell’atleta bergamasca in primis e i vari specialisti, medici e fisioterapisti che si sono avvicendati per riportare in pista la campionessa. Ma una citazione particolare va fatta per il dottor Claudio Zorzi, chirurgo ortopedico dell’Irccs di Negrar (Verona), che ha trattato la sciatrice con infiltrazioni di PRP (Plasma ricco di piastrine).

Dottor Zorzi, può descriverci che tipo di trattamento è stato?
“Si tratta di una cosiddetta terapia biologica o di medicina rigenerativa che viene attuata con infiltrazione di PRP, ovvero di Plasma ricco di piastrine. Questa terapia è relativamente nuova, perché è stata accettata a livello scientifico da circa 10 anni. Viene largamente usata nella cura di più patologie ortopediche per varie articolazioni (ginocchio, spalla, anca…): dai problemi tendinei ai primi stadi infiammatori di lesioni cartilagine, fino ad arrivare a trattare l’artrosi in fase iniziale. Il reparto che guido esegue circa 6mila trattamenti all’anno, una delle più alte casistiche a livello internazionale. L’infiltrazione direttamente dentro il legamento del ginocchio è una metodica che è stata applicata finora solo in pochi pazienti selezionati e che comunque non reca nessun danno alla persona”.

Da dove si ricava il PRP? E qual è il primo risultato che si ottiene?
“Si ricava da un normale prelievo di sangue venoso del paziente; sangue che viene poi centrifugato, con un apposito strumentario, per giungere a un composto di plasma e piastrine. Il composto viene iniettato all’interno dell’articolazione con una semplice infiltrazione. Il primo effetto è l’attenuazione o la scomparsa del dolore, perché il ‘gel piastrinico’ ha un’azione antinfiammatoria. Inoltre, stimola la riparazione del tessuto danneggiato”.

Riferendoci a un paziente non sportivo, ma che avrebbe bisogno di questo trattamento, i risultati ottenuti sono duraturi?
“L’effetto delle terapie biologiche, tra cui il PRP, è legato alla capacità delle cellule di attivarsi ottenendo quanto desiderato. Quindi è normale osservare un miglior risultato per esempio nei pazienti più giovani rispetto agli over 70, anche se a volte l’età biologica non corrisponde all’età anagrafica. Negli stadi più avanzati di artrosi, i trattamenti infiltrativi servono più che altro per guadagnare tempo, distanziando il più possibile l’avvento dell’impianto protesico che comunque oggi arriva a essere garantito per circa 20 anni. L’applicazione del PRP sui tendini e sui legamenti, invece, ha un obiettivo antinfiammatorio e di riparazione del tessuto. In entrambi i casi, a seguito del trattamento biologico, è essenziale eseguire un percorso riabilitativo ‘su misura’ che ha lo scopo di permettere l’attivazione della stessa terapia”.

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