Nel maggio del 2021 si era costituito parte civile nel processo contro Palamara&co. Oggi per Paolo Ieri, aggiunto a Roma e al centro di una manovra per screditarlo, è stato sentito dai giudici di Perugia nell’ambito del processo in cui sono imputati l’ex consigliere del Csm ed ex presidente dell’Anm Palamara e l’ex magistrato Stefano Rocco Fava, accusati di rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio. “Ho fatto lo sforzo di stare zitto finora, ma sono tre anni che ricevo fango. Sono rimasto a covare in silenzio, perché penso che un magistrato debba difendersi in tribunale, non sui giornali”. Il procuratore aggiunto alla Procura di Roma, Paolo Ielo, ha deposto la sua testimonianza durante l’udienza odierna del processo in corso al tribunale di Perugia. Con la testimonianza di Ielo, intervenuto in qualità sia di testimone che di parte civile nei confronti di Fava, il dibattimento è entrato nel vivo, dopo la testimonianza resa da un funzionario amministrativo, che lavora nella segreteria alla procura dello stesso Ielo. Una testimonianza durata ore, in cui Ielo, davanti ai pubblici ministeri Gemma Miliani e Mario Formisano, ha ricostruito la propria attività nella procura di Roma, dove dal 2013 coordina il gruppo che indaga sui reati contro la pubblica amministrazione, nonché i rapporti intrattenuti con l’ex magistrato Fava. A proposito del rapporto con quest’ultimo, Ielo ha dichiarato: “Io mi fidavo di Fava, se non ti fidi dei colleghi non puoi fare il mio lavoro”.

Ielo in aula ha ricostruito l’origine del procedimento che ha preso il via da una segnalazione di operazione sospetta risalente al giugno 2016, nell’ambito dell’inchiesta “Mondo di Mezzo“, ripercorrendone le varie fasi che hanno portato all’arresto, tra gli altri, di Piero Amara. “Dissi – ha spiegato Ielo – che le dichiarazioni di Amara si potevano utilizzare solo se riscontrate, altrimenti ora sarei a processo contro Berlusconi sulla vicenda Mediolanum, in base a dichiarazioni non riscontrate”. Tra i fatti riportati da Ielo, anche il riferimento a “una mail” che aveva ricevuto da Fava mentre si trovava in montagna. “Nella mail mi diceva che si doveva denunciare il procuratore Pignatone a Perugia e alla procura generale. Se fossi stato su una seggiovia avrei rischiato di cadere”, ha detto Ielo. Nel corso della testimonianza, Ielo ha fatto riferimento anche a un altro procedimento, sulla vicenda Eni-Napag, rispetto al quale, a suo avviso, Fava gli avrebbe “teso una trappola”. “Su quella vicenda lui disattese la richiesta di fare uno stralcio, sapendo che mi sarei astenuto, dicendomi che c’era una tale interconnessione da non poterlo fare: è una cosa che non puoi dire a uno che fa questo lavoro“, ha dichiarato Ielo.

L’hotel Champagne non è stato un fatto di correnti. Bisognava nominare un procuratore della Repubblica di Perugia che fosse disponibile a fare indagini nei miei confronti, probabilmente perché io non vado a cene, non faccio incontri. Mio fratello non ha mai avuto rapporti di lavoro con Amara” ha sottolineato quindi il magistrato. Ielo ha poi spiegato di avere “sempre pensato che i magistrati si possono dividere, possono discutere ma stanno sempre dalla stessa parte”. “E invece ho scoperto poi – ha proseguito – che c’era qualcuno nell’ufficio contro di me”.

Il procuratore aggiunto di Roma ha poi sottolineato come l’allora capo dell’Ufficio Giuseppe Pignatone “non si è mai permesso di dire fai questo o fai l’altro”. “Non fece osservazioni – ha spiegato – sulle misure predisposte per Amara, Centofanti ed altri. Solo quando era partito tutto Pignatone mi disse che questo Centofanti lo conosceva e c’era andato qualche volta a cena”. “Non si è mai permesso nessuno di farmi pressioni – ha detto ancora Ielo -. Chiunque si fosse azzardato dentro e fuori di Palazzo di Giustizia a dirmi fai questo o fai quell’altro io avrei fatto scoppiare l’inferno“.

L’udienza odierna riguarda il filone d’inchiesta sulle presunte rivelazioni che, secondo l’accusa, Fava e Palamara avrebbero rivolto ai giornalisti di due quotidiani, il Fatto Quotidiano e La Verità. I due imputati devono rispondere dell’ipotesi di reato di rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio in relazione all’accusa, mossa dai magistrati, secondo la quale i due avrebbero rivelato che Amara fosse destinatario di una misura cautelare per il reato di autoriciclaggio. In sede di udienza preliminare, era stato eliminato, nei confronti di Palamara, il capo d’imputazione relativo alla rivelazione di segreto d’ufficio in concorso con l’ex procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio. Fava deve invece rispondere anche dell’ipotesi di reato di accesso abusivo a sistema informatico e abuso d’ufficio.

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