“La legge sulla cittadinanza italiana compie trent’anni. Vogliamo che sia l’ultimo compleanno di questa norma ingiusta”. È l’appello di Ada Ugo Abara, presidentessa di Arising Africans, una delle molte associazioni che animano la campagna “Dalla parte giusta della storia”, per riformare i criteri d’accesso alla cittadinanza italiana. Secondo gli ultimi dati del centro studi Idos, sono oltre 860mila gli stranieri – nati in Italia e che attualmente vi risiedono – che ne avrebbero diritto, se la legge (la 91/1992, ndr) fosse estesa, con efficacia retroattiva. Per la maggior parte sono bambini e ragazzi con meno di 18 anni. “La politica non dovrebbe perdere l’occasione di fare la differenza sul piano dei diritti, soprattutto dopo il fallimento del Ddl Zan – afferma Abara – Chiediamo a tutti di impegnarsi per una riforma entro la fine di questa legislatura. Non sarebbe la vittoria di una parte, ma un traguardo per l’intera società”. Da oggi la rete inaugurerà una serie di eventi e discussioni online, tra cui la challange digitale #ècambiatoQUASItutto, con l’invito ai partecipanti a raccontare tutti i mutamenti culturali e sociali dell’ultimo trentennio. Le iniziative culmineranno con il flash mob a Roma del 14 febbraio e con l’invio di una memoria alla Commissione Affari Costituzionali.

Dal 1992 l’Italia è cambiata profondamente. “Ci sono stati tredici presidenti del Consiglio, cinque della Repubblica. Sono arrivati i telefoni cellulari. Pippo Baudo era alla prima di quattro conduzioni di Sanremo. Mancini era un giocatore della nazionale, mentre ora la allena. E la maggior parte dei giovani che sostengono la nostra campagna non erano neanche nati – ricorda Abara – Solo il piano normativo sulla cittadinanza è lo stesso, anche se non rappresenta più l’Italia che viviamo quotidianamente”. In trent’anni il numero di acquisizioni annuali – registrate al ministero dell’Interno – è passato da 4mila a più di 100mila. Quello dei potenziali nuovi cittadini è triplicato: erano 286mila al Censimento del 2001, mentre ha superato gli 1,5 milioni nel 2020, prima del rallentamento degli ingressi dovuto alla pandemia di Covid 19. “All’inizio dell’emergenza sanitaria abbiamo vissuto una contraddizione: cercavamo dei professionisti e personale dall’estero, quando c’erano persone formate nelle nostre università – dice l’attivista – Però non potevano esercitare, perché per iscriversi agli albi professionali dovevano pagare un ulteriore permesso di soggiorno. È il segno di un’Italia che non raccoglie i frutti che semina”.

Nell’ultimo decennio poi sono stati 630mila i bambini nati in Italia, da genitori stranieri. Di questi 60mila nel 2020, cioè un settimo del totale delle nascite. Nelle classi sono 2 studenti su 3 (circa il 65%) e le percentuali sono più alte nelle scuole primarie e dell’infanzia. “Questi giovani recepiscono gli imput dai contesti in cui vivono, le tendenze, le aspirazioni e i sogni di tutti gli altri – spiega Ada Ugo Abara – Iniziano a costruire i loro percorsi professionali in Italia, ma vivono diversi ostacoli invisibili alla legge: non possono partecipare alle gite scolastiche, all’Erasmus, a bandi pubblici o iscriversi agli albi professionali”. La stessa Abara – nata in Nigeria proprio nel 1992 e cresciuta a Treviso, li ha sperimentati: “Ho frequentato la scuola qui dalla quinta elementare alla laurea magistrale, lavoro e pago le tasse qui, ma non ho la cittadinanza e devo avere un permesso di soggiorno che spieghi perché io mi sento italiana”.

Al momento in Parlamento ci sono tre proposte di riforma della legge 91 del 5 febbraio 1992, una a firma dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini, un’altra del deputato del Pd, Matteo Orfini, e l’ultima dell’ex deputata di Forza Italia Renata Polverini. “Siamo in contatto con il presidente della Commissione Affari costituzionali, Giuseppe Brescia, e chiediamo un dialogo tra questi disegni di legge – afferma Abara – Ogni volta che si è parlato di allargare dei diritti a fette di popolazioni – da quello all’aborto, al divorzio, fino alla cittadinanza -, la discussione si è spostata sul piano ideologico e sul fronte politico, a discapito delle persone toccate dagli effetti concreti delle leggi”. Il Paese reale sembra però viaggiare più velocemente della politica: “È già abituato. Anche le persone che si dicono contrarie alla riforma lo fanno perché assorbono quelle che sono polarizzazioni sui media. Ma nel proprio quartiere, nelle scuole, i cittadini di origine straniera ci sono. Non è uno stravolgimento della realtà – racconta Ada Ugo Abara – Gli italiani non solo banchi, ma ci sono italiani neri, provenienti dall’America del sud, dall’Asia e dall’Africa”. La legge però può “facilitare processi inclusione sociale pluralismo e partecipazione. Se anche la legge riconosce il diritto che persone hanno, le ultime resistenze e le narrazioni che le legittimano non possono che riconoscere la realtà”.

Articolo Precedente

Il M5s deve scegliere la lotta alle disuguaglianze come sua principale battaglia

next
Articolo Successivo

Ater Roma, il nuovo direttore non ha alcuna esperienza in materia. Quale sarà il futuro dell’azienda?

next