Torturato e rinchiuso per 20 anni perché sospettato di essere il ventesimo mancato dirottatore degli attentati dell’11 settembre 2001 potrebbe essere a breve liberato dal carcere di Guantanamo di Mohammed al-Qahtani, cittadino saudita. La commissione di revisione del centro di detenzione nell’isola di Cuba ha raccomandato all’unanimità di rimpatriarlo in una struttura riabilitativa per estremisti perché a Guantanamo non può ricevere un adeguato trattamento medico e non rappresenta più una minaccia alla sicurezza nazionale. Secondo un rapporto medico, le condizioni di salute mentale del detenuto, che ora ha 42 anni, sono “significativamente compromesse”, ma può tornare nel suo Paese perché è in grado di contare sul sostegno della famiglia e sulla capacità dell’Arabia Saudita di fornire le cure del caso, tenendolo sotto controllo.

“È una decisione attesa da tempo”, ha commentato il suo avvocato Ramzi Kassem: “Nonostante la gravità della sua malattia, Mohammed non pone rischi per nessuno e ha bisogno di trattamenti psichiatrici in Arabia Saudita, non di continuare la sua carcerazione a Cuba”. Al-Qahtani è uno dei 39 rimasti nella prigione di guerra Usa e potrebbe essere il primo rimpatriato dei 19 per i quali è già stato consigliato il trasferimento. Ma la sua imminente liberazione, forse già a marzo, non cancella gli orrori e gli abusi che ha subito in tutti questi anni.

Tentò di entrare illegalmente in Usa nell’agosto del 2011 e nel dicembre successivo fu catturato in Afghanistan nella battaglia di Tora Bora. Nelle indagini sull’11 settembre si scoprì che Mohamed Atta, il capo degli attentatori, doveva incontrarlo negli Usa e si ipotizzò che dovesse far parte della squadra di terroristi che dirottarono l’aereo diretto contro il Campidoglio e caduto in Pennsylvania per la rivolta dei passeggeri. Ma Al-Qahtani non è mai stato processato e, classificato come pericoloso, non è stato liberato neppure dopo che nel 2008 è stato ritenuto non più perseguibile a causa dei due mesi di torture subite a Guantanamo nel 2002 e nel 2003: chiuso in isolamento, denudato, depilato, deprivato del sonno, disidratato, esposto al freddo, psicologicamente e sessualmente umiliato quando lo fecero abbaiare come un cane e danzare con un uomo indossando in testa delle biancheria intima femminile. Confessò, ma poi ritrattò. Una brutalità che peggiorò le sue condizioni di salute, anche perché da giovane aveva subito un trauma cerebrale ed era stato diagnosticato come schizofrenico. Tanto da tentare ripetutamente il suicidio in carcere, impiccandosi, tagliandosi le vene e ingerendo pezzi di vetro. “Abbiamo ereditato una situazione molto difficile”, ammise nel 2009 l’allora vicepresidente Joe Biden, che da commander in chief ha ribadito l’impegno di Barack Obama di liberare tutti i detenuti di Guantanamo. Ma in questo primo anno ne è uscito solo uno.

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