Le hanno sparato sotto casa mentre era ferma a bordo della sua auto, con il motore ancora acceso. Così è morta la giornalista messicana Lourdes Maldonado López, freddata con alcuni colpi di arma da fuoco alla testa poco prima delle 7 di sera di domenica 23 gennaio. È successo nel quartiere Santa Fe a Tijuana, popolosa città dello stato federato della Baja California al confine con gli Stati Uniti. A lanciare l’allarme sono stati i vicini di casa che hanno sentito gli spari. I suoi effetti personali erano ancora vicino a lei, dentro l’auto. Chi le ha sparato ha aspettato che gli uomini della scorta se ne andassero. Lourdes Maldonado dal 2021 era inserita nel programma di protezione dei giornalisti a rischio della Baja California, che però non le garantiva una sorveglianza 24 ore su 24.

La giornalista messicana aveva ricevuto minacce e temeva per la sua vita, come aveva raccontato pubblicamente al presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador durante una conferenza stampa il 26 marzo 2019, il cui video in queste ore sta facendo il giro del mondo. Rivolgendosi al presidente, eletto pochi mesi prima, Lourdes Maldonado chiedeva “sostegno” e “aiuto” per via di una vicenda giudiziaria in cui era coinvolta da sei anni. Da cui è poi uscita vincitrice, come annunciato proprio pochi giorni prima di essere uccisa. Una causa contro il suo datore di lavoro per licenziamento illegittimo, durata nove anni.

La giornalista messicana, che aveva lavorato a lungo per vari media tra cui Televisa, era stata infatti recentemente reintegrata dal giudice nel media Psn (Primer Sistema de Noticias), di proprietà dell’ex governatore della Baja California Jaime Bonilla Valdez (in carica dal 2019 alla fine del 2021). Che all’epoca della conferenza stampa menzionata era ancora un senatore del partito Morena, vicino al presidente Amlo e in procinto di essere eletto a capo dello stato confinante con la California.

“Temo per la mia vita perché ho una causa con lui da sei anni”, diceva Lourdes Maldonado al presidente, riferendosi a Bonilla. “Le chiedo aiuto perché si tratta del suo senatore, del suo super coordinatore e del suo candidato”. “Chiederò (…) di assistervi, di sostenervi affinché sia fatta giustizia (…) nel quadro della legge”, aveva risposto López Obrador. La causa vinta recentemente le dava diritto a ricevere circa 500mila pesos, equivalenti a poco più di 20mila euro, tra salario non corrisposto e spese processuali.

Venerdì sera, meno di due giorni prima di morire, Lourdes Maldonado aveva partecipato a una veglia nel centro di Tijuana in onore del fotoreporter Margarito Martínez Esquivel, ucciso anche lui con alcuni colpi di arma da fuoco sotto casa lunedì 17 gennaio. Molto conosciuto a Tijuana, Martínez Esquivel raccontava con le sue foto la violenza dei narcos (e non solo) da oltre vent’anni, penetrando nelle zone più a rischio della città, dove nessuno si azzardava a mettere piede. Il mese scorso aveva chiesto di essere inserito nel meccanismo di protezione. Due giornalisti uccisi nella stessa città in pochi giorni, che si aggiungono a José Luis Gamboa Arenas, direttore del sito di notizie Inforegio, ucciso a coltellate a Veracruz lo scorso 10 gennaio. Tre giornalisti ammazzati in meno di un mese, 50 negli ultimi tre anni: questo l’allarmante bilancio dal Messico, che secondo l’organizzazione Reporteres sans frontières è il paese più pericoloso al mondo per i giornalisti.

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