Se confermata, la candidatura di Andrea Riccardi al Quirinale sarebbe il coronamento di un anno ricco di riconoscimenti per la sua Comunità di Sant’Egidio che a Roma ha già messo d’accordo politici di ogni colore, da Forza Italia alla Lega passando per Leu, Pd e M5S. Non più tardi di un pugno di settimane fa, infatti, l’ente fondato nel 1968 dall’ex ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione del governo Monti, ha ricevuto un contributo pubblico di oltre 6 milioni di euro (1.278.000 per il 2022, a 2.278.000 euro per il 2023 e a 2.444.816 per il 2024).

Lo stanziamento è stato inserito nella Legge di Bilancio grazie a quattro emendamenti identici i cui firmatari spaziano da Maurizio Gasparri a Pietro Grasso, via Paola Taverna, Roberto Calderoli e Roberto Rampi, solo per citare alcuni nomi. E va integralmente a favore del progetto di Sant’Egidio denominato Viva gli Anziani che i senatori definiscono “pilota”. Il programma in realtà esiste da 18 anni ed è attivo a Roma e in diverse città d’Italia come “servizio innovativo per il contrasto dell’isolamento sociale, attraverso la creazione di reti, che si collocano accanto alle risposte tradizionali (assistenza domiciliare, servizi residenziali, etc.)”, come si legge sul sito della Comunità. Che spiega come Viva gli Anziani operi a scopo preventivo nel contrasto di eventi critici per la salute degli over 80 attraverso il “Monitoraggio attivo” e complessivamente raggiunge più di 14.000 anziani ultraottantenni, poco meno della metà a Roma, grazie al sostegno di 40.000 attivisti, di cui 25.000 nella Capitale.

Finalità senza dubbio altissime, insomma, che ben si sposano con l’obiettivo del contributo, cioè “dare attuazione a interventi in materia di estensione dei servizi di cura domiciliare per gli anziani”, come si legge negli emendamenti approvati in Senato. Che ha così di fatto scelto Sant’Egidio come pioniere della riforma dell’assistenza agli anziani approvata dalla stessa finanziaria. Lo dimostra anche l’entità dello stanziamento che non è poco in assoluto e men che meno se paragonato ai “soli” 15 milioni su 200 ottenuti dalle organizzazioni del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, in aggiunta ai 100 milioni inizialmente messi sul piatto dall’esecutivo in Finanziaria per il rafforzamento dell’assistenza domiciliare ai non autosufficienti. Categoria che include anche gli anziani. In pratica, all’assistenza domiciliare sono arrivati 21 milioni in più delle previsioni iniziali, ma un terzo della somma è andato al solo progetto di Sant’Egidio.

Il tutto non senza un acceso dibattito, visto che la riforma dell’assistenza domiciliare era attesa da decenni ed è stata varata in Finanziaria soltanto dopo il suo inserimento nel Pnnr. Altro tasto dolente e oggetto di accesa polemica, questa volta da parte degli operatori del sociosanitario residenziale (Rsa, Rsd etc) che hanno lamentato la mancata inclusione delle strutture che ospitano persone non autosufficienti nei piani governativi di accesso ai fondi comunitari per il rilancio economico dopo la pandemia. “Che sarebbe invece fondamentale ed urgente, sia per l’insostituibile ruolo che queste strutture svolgono oggi, sia per l’enorme carico assistenziale che hanno sopportato nel periodo pandemico e soprattutto per quello che dovranno affrontare nel futuro, per l’aumento della popolazione gravemente non autosufficiente da assistere”, lamentava per esempio il presidente di Anaste Sebastiano Capurso in una lettera a Quotidiano Sanità di metà novembre.

D’altro canto Monsignor Vincenzo Paglia, che oltre ad essere assistente spirituale di Sant’Egidio è anche presidente della Commissione per la riforma della assistenza sanitaria e sociosanitaria per la popolazione anziana, non ha mai fatto mistero della sua posizione critica verso il mondo delle Rsa. Quest’ultima evidentemente è stata recepita dall’esecutivo di Mario Draghi, che a settembre ha accolto la Commissione Paglia con tutti i riguardi dovuti e da tempo non si occupa degli anziani non autosufficienti che nelle Rsa ancora vivono, spesso rinchiusi e/o isolati per Covid assistiti dal pochissimo personale rimasto, mentre i gestori studiano progetti di domiciliarità che abbiano titolo di accesso ai fondi del Pnrr.

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