di Claudia De Martino

Nel ‘700 gli Illuministi francesi pensavano al progresso umano come simultaneamente consistente di due componenti, una morale ed una materiale, immaginate come due rette parallele slanciate verso il futuro e parte di uno stesso processo evolutivo. Con il progredire delle condizioni di vita dell’uomo sarebbero aumentate anche le possibilità umane di giovarsi dello sviluppo materiale per ingaggiare battaglie etiche per il progresso morale dell’umanità, come campagne per la libertà di ricerca scientifica, l’avanzamento della protezione dei diritti umani, l’introduzione di un’istruzione universale, la parità tra i sessi e altre nobili cause sociali.

Nel ‘900 questa visione ottimistica del progresso si è incrinata e, invece, si è fatta strada la consapevolezza che grandi scoperte scientifiche – come, ad esempio, la bomba ad idrogeno – non comportassero necessariamente un progresso umano, potendo al contrario contribuire a obiettivi di morte e distruzione su larga scala, e dunque al regresso morale dell’umanità.

Nel 21° secolo, infine, l’espansione di Internet, delle infrastrutture digitali e il debutto commerciale di tecnologie avanzate come robot dotati di intelligenza artificiale hanno rivelato il possibile divorzio tra alta tecnologia e avanzamento dei diritti, in particolare in Paesi che, puntando sulla modernizzazione delle proprie infrastrutture, trascurano o ostacolano apertamente la modernizzazione dei costumi e l’avanzamento nella tutela dei diritti umani.

Paradigmatico di questo sviluppo paradossale è il caso dell’Arabia Saudita, che nel 2017 nell’ambito del prestigioso appuntamento Future Investment Initiative ha concesso la cittadinanza onoraria – primo Paese al mondo – a Sophia, un robot prodotto dalla Hanson Robotics di Hong Kong, dotato sia di AI che di personalità giuridica. Il conferimento della cittadinanza ad una donna-robot ha immediatamente suscitato l’ironia del web, dal momento che Sophia raffigura una “donna anglofona che non solo è dichiaratamente materialista, ma che non indossa nemmeno l’hijab o l’abaya” (Newsweek, 26/10/2017), in un Paese religiosamente conservatore in cui le donne sono considerate giuridicamente inferiori, incapaci di autonomia – e sottoposte al controllo costante di un guardiano o tutore per attività quotidiane -, e fino al 2018 interdette dalla guida e ancora impossibilitate a passare la cittadinanza ai propri figli se coniugate con un non-musulmano.

Il paradosso appare ancora più evidente se si considera che, in generale, ai non-musulmani è sistematicamente negata la cittadinanza e a tutti gli stranieri richiesta una buona padronanza dell’arabo classico solo per poter postulare la domanda, così che il numero di stranieri – circa 13 milioni – da anni regolarmente soggiornanti nel Paese e impiegati nel settore dei servizi e delle costruzioni è giuridicamente impossibilitato ad acquisirla. E poco contano i recenti annunci da parte del governo Bin Salman di voler conferire un centinaio di cittadinanze onorarie a esperti stranieri iper-selezionati se si confrontano quei pochi casi illustri alle condizioni di semischiavitù imposte ai milioni di lavoratori lungo-soggiornanti provenienti dal Sud-est asiatico o dalla Siria, sottoposti al durissimo regime della kafala – un sistema di ingresso dietro sponsorizzazione di un datore di lavoro interamente responsabile del proprio lavoratore non solo in senso economico ma anche giuridico.

Il sistema islamico della kafala – in vigore dagli anni Cinquanta, e leggermente riformato nel marzo del 2021 – di fatto paragona i lavoratori stranieri non musulmani presenti sul territorio nazionale a minori orfani, abbandonati o privi di famiglia, bisognosi di tutela da parte di un adulto responsabile, assoggettando completamente quest’ultimi ai datori di lavoro in quanto a diritti fondamentali come la possibilità di cambiare lavoro e persino di fuoriuscire dal Paese, come denunciato a più riprese dai rapporti di Amnesty International. La recente riforma del sistema intervenuta nel 2021 ha liberalizzato l’ingresso e la ricerca di lavoro per alcune categorie, mantenendo il sistema invariato per tutti quei lavoratori addetti al servizio domestico, all’assistenza e alla cura personale o alla sicurezza.

Essere privi di cittadinanza o di un titolo legale alla residenza può comportare rischi di abusi, ma soprattutto l’assenza di tutele economiche e sociali in periodi di crisi come la pandemia da Covid-19. Non è un caso che i rifugiati siriani, nominalmente accolti come “fratelli nell’Islam” nel numero di oltre 2,5 milioni, sono rimasti a maggioranza “visitatori” privi di un titolo di residenza legale e di conseguenza esclusi dai sussidi per la disoccupazione erogati dal governo nonostante l’obbligo universale di quarantena sanitaria loro imposto nei mesi di maggiore diffusione del Covid tra il 2020 e il 2021.

Così, mentre i diritti umani delle persone languono, l’Arabia Saudita si slancia verso il futuro con magniloquenti progetti tecnologici come quello di costruire ex novo “Neom”, una città sul Mar Rosso completamente robotizzata e destinata a sua volta ad ospitare tra i propri residenti molti robot-lavoratori. Il progetto avveniristico fa parte dell’ambizioso piano di sviluppo lanciato dal governo che passa sotto il nome di “Visione 2030” e si propone di rivoluzionare la società saudita riducendo la sua dipendenza dal petrolio e “energizzando” i propri cittadini attraverso l’adozione di nuove tecnologie e l’incentivo allo sviluppo di settori lavorativi alternativi alla produzione di greggio.

A Neom vi sarà spazio per sorridenti donne robot-domestiche come Sophia che supereranno le rigide barriere tra i sessi fornendo un surrogato di femminilità a ricchi e potenti emiri in uno scenario di comfort totale garantito da macchine volanti, lune artificiali e parchi-divertimenti faraonici: un futuro radioso in cui le donne saudite e i lavoratori stranieri continueranno ad essere mantenuti in uno stato di cattività, mentre robot dotati di quella intelligenza che gli esseri umani sembrano aver smarrito progrediranno in status, diritti e tutele superando di gran lunga i loro imperfetti concittadini umani.

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