Cultura

Dio salvi la regina! Fenomenologia di Elisabetta II tra cinema e tv. La sovrana che è diventata icona

L'opera di Anna Maria Pasetti (Bietti editore) è un libro sottile come una fettina di bacon e denso come un pudding con al centro un sogno, ma soprattutto un segno, da decifrare, scorporare, con la S maiuscola

di Davide Turrini

Tradizione e sovversione, mistero e incanto, immobilità e movimento, creatrice e interprete della propria icona. In una parola, anzi due o tre: Elisabetta II, regina d’Inghilterra e la sua rappresentazione visiva di cinema e tv. Ding! Helen Mirren? Esatto. Ding! Claire Foy e Olivia Colman? Esatto. Ma non solo. Scavate gente, scavate. Ad aiutarvi ci pensa Sua Maestà Anna Maria Pasetti con Dio salvi la regina! (Bietti editore). Libercolo sottile come una fettina di bacon e denso come un pudding con al centro un sogno, ma soprattutto un segno, da decifrare, scorporare, con la S maiuscola.

Ma come ha fatto quella sovrana lì a diventare qualcosa di realmente intramontabile nell’immaginario collettivo del globo terracqueo? Icona, indice e simbolo riassunti nella figura di una monarca che regna da quando aveva 21 anni nel 1947. “Può essere solo simile a sé stessa, indicare sé stessa, e così facendo assurgere a simbolo assoluto non solo della propria Maestà ma ormai dell’intera Fenomenologia Monarchica, con una potenza immaginifica senza precedenti, dovuta naturalmente anche alla sua longevità”, spiega Pasetti. Eccole allora le tappe, ai più sconosciute, in cui al quadro d’epoca è succeduta la fotografia (della quale, peraltro, come hobby Elisabetta pare essere molto appassionata).

La sovrana bambina nel 1926, le prime immagini di vita in famiglia pubblicate su un quotidiano nel 1936, quelli di giovane donna dal portamento già regale, il matrimonio, la prima immagine di mamma con Carlo, i ritratti che diventeranno francobolli, lo scatto di Cecil Beaton nel 1968. Poi ecco i settanta con i fotogrammi informali e istantanei (per dire quando the Queen sia sempre la passo coi tempi, no?), la foto nel 1996 per i 70 anni, con il fu Duca di Edimburgo nel 2007 per le nozze di Diamante, nel 2013 con i tre eredi al trono, nel 2016 per la cover nientemeno che di Vanity Fair. Dobbiamo continuare con cinema e tv allora? Non basta così per capire il segno che lascia Elisabetta ben oltre l’isolotto oltremanica? Capatina alla tv: 20 milioni di spettatori per l’incoronazione del 1953 (con Churchill incacchiato come una bestia) e l’unica intervista rilasciata in tutta la carriera di regina nel 2018 alla BBC. Poi ancora il documentario convenzionale Royal Family del 1969 diretto da Richard Cawston, sorta di reality show – royalty show, dice Pasetti – voluto da Filippo negli anni in cui perfino la Corona veniva contestata (troppe spese pubbliche), infine bandito dalla regina in quanto “essere normali è pericoloso quanto essere troppo diversi”.

Salto al 2012. “Solo io posso essere me stessa”. Ed eccola protagonista dello special movie sulle Olimpiadi di Londra. “Good evening Mister Bond”. La frase che lascia il segno, aggiungiamo noi sfiorando vette impossibili, ma sempre confermando l’essenza del suo corpo-segno. Infine, certo, fioccano le curiosità. Lo sapevate che… Queen Elizabeth appare in un episodio di Peppa Pig? O che è figura assente ed evocata in Her Majesty con tanto di ragazzina protagonista che ne evoca l’icona nemmeno fosse Madonna, Louise Veronica Ciccone, s’intende. Con una battuta che riserviamo per il finale grazie alla bella intervista concessa a Pasetti da Stephen Frears, regista di The Queen: “Per quanto mi riguarda, Elisabetta è identica da quando ho capito che esisteva, che corrisponde a quando avevo più o meno tre anni nel 1947”. God save the queen. E chissà per quanto.

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