Condannare Malefix a vent’anni di carcere”. È la richiesta del procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, al termine della requisitoria del troncone del processo “Epicentro” che si celebra in rito abbreviato nell’aula bunker del tribunale. Un giudizio che chiude la trilogia di indagini iniziata negli anni novanta con l’inchiesta “Olimpia” e proseguita con il processo “Meta”. “Malefix” è il soprannome di Giorgino De Stefano, rampollo dell’omonimo clan ‘ndranghetista di Archi, trapiantato a Milano – dove gestisce un ristorante frequentato da personaggi famosi – e compagno di Silvia Provvedi, influencer ed ex concorrente del Grande Fratello. È lui uno dei principali imputati di “Epicentro”, nato dalle inchieste “Malefix”, “Metameria” e “Nuovo corso” che hanno stroncato le cosche reggine: i De Stefano-Tegano-Molinetti, ma anche i Libri, i Condello, i Barreca, i Rugolino, i Ficara, i Latella e gli Zito-Bertuca. Complessivamente, il procuratore ha chiesto quasi 800 anni di carcere per i 59 imputati tra cui boss e gregari delle principali famiglie mafiose della città dello Stretto.

Le principali accuse contestate sono associazione mafiosa, estorsione e danneggiamento. Per quindici imputati è stata chiesta la condanna a vent’anni, il massimo della pena prevista. Oltre a “Malefix”, ci sono i boss Carmine De Stefano, Luigi Molinetti detto “Gino”, Antonio Libri, Edoardo Mangiola, Carmine Polimeni, Donatello Canzonieri, Domenico Tegano, Filippo Barreca, Domenico Calabrò, Marcello Bellini, Demetrio Condello, Antonino Monorchio, Giovanbattista Fracapane e Giandomenico Condello. Per tutti gli altri le richieste vanno dai due anni e sei mesi ai 18 anni di reclusione. Per i pm della Direzione distrettuale antimafia Stefano Musolino, Walter Ignazitto e Giovanni Calamita, le cosche operavano “nel territorio della provincia, nonché sull’intero territorio nazionale e all’estero”, “attraverso una consolidata e comune sinergia operativa”. Quella che è emerso a Reggio è una ’ndrangheta “destefanocentrica”, caratterizzata dalla “definitiva e unitaria sinergia tra le famiglie mafiose a prescindere dalle contrapposizioni e dalle divisioni del passato”.

Tutto ruota intorno ai De Stefano“, ha detto in Aula il pm Ignazitto, che nelle scorse udienze ha ripercorso le tappe delle indagini. “Tutto ruota intorno ad Archi, che è il punto in cui comincia e finisce la ‘ndrangheta di Reggio Calabria e forse la ‘ndrangheta di tutta la provincia. La cosca De Stefano è la più potente e la più autorevole, è quella di fronte alla quale tutti alla fine fanno un passo indietro. Parliamo di ‘ndrangheta vera, di ‘ndrangheta di serie A. Non è possibile – ha aggiunto – che da trent’anni questa città debba vivere sotto la pressione sempre delle stesse persone. Noi vogliamo una città di Reggio Calabria in cui se arriva Carmine De Stefano, la gente possa dire “e chi se ne frega“. Non è possibile continuare a vivere dopo trent’anni, in una città in cui ancora devono tremare i polsi, perché qualcuno si chiama De Stefano o si chiama Molinetti”.

Ecco perché il maxi-processo “Epicentro” è stato definito “un terremoto giudiziario, una scossa tellurica nelle vicende della ‘ndrangheta di Reggio Calabria”. Le indagini hanno fatto luce anche sulle tensioni registrate tra le cosche di Archi per la conquista del potere nel quartiere di Gallico: le intercettazioni, infatti, hanno fotografato le spinte scissioniste portate avanti soprattutto da Luigi Molinetti detto “Gino la Belva”, fibrillazioni che hanno rischiato di provocare una faida, bloccata nell’estate 2020 dagli arresti eseguiti nell’ambito dell’operazione “Malefix”.

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