Generalmente è il luogo dove il terremoto produce effetti di intensità maggiore. Pur non riguardando alcuna scossa tellurgica, in un certo senso è quello che sta avvenendo a Reggio Calabria dove “Epicentro” è il nome del prossimo maxi-processo alla ‘ndrangheta che vedrà imputati boss e luogotenenti delle storiche famiglie mafiose della città dello Stretto.

Firmati dal procuratore Giovanni Bombardieri e dai pm Walter Ignazitto, Stefano Musolino e Giovanni Calamita, gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari sono partiti ieri dalla Direzione distrettuale antimafia e sono stati notificati ai 75 indagati ritenuti espressione delle cosche operanti “nel territorio della provincia – è scritto nel capo di imputazione – nonché sull’intero territorio nazionale e all’estero”. Il tutto “attraverso una consolidata e comune sinergia operativa” messa in atto dai De Stefano-Tegano-Molinetti, Libri, Condello, Barreca, Rugolino, Ficara Latella e Zito-Bertuca.

“Epicentro”, in sostanza, riunisce in un unico processo le operazioni “Malefix”, “Metameria” e “Nuovo Corso” che, nell’ultimo anno, hanno stroncato i vertici delle principali consorterie mafiose documentando quelle che gli investigatori definiscono le più allarmanti dinamiche criminali registrate nel mandamento di Reggio Centro.

Tra gli indagati ci sono, infatti, i boss Carmine, Orazio, Paolo Rosario e Giorgino De Stefano. Quest’ultimo è il giovane rampollo di Archi che si è trasferito alcuni anni fa a Milano. È il compagno di Silvia Provvedi, influencer ed ex concorrente del Grande Fratello. Conosciuto con il soprannome “Malefix”, Giorgino gestisce l’Oro di Milano, la famosa catena di ristoranti che in Lombardia è frequentata da personaggi famosi.

Alla sbarra ci saranno pure i fratelli Alfonso e Gino Molinetti detto “la Belva”. Ma anche Demetrio Condello, Giandomenico Condello, Demetrio Canzonieri, Antonio Libri, Filippo Barreca ed Edoardo Mangiola.

L’avviso di conclusione indagini è stato notificato, infine, anche ad altri esponenti della criminalità organizzata come Antonio Serio detto “Totuccio”, Antonino Latella e Giovanni Rugolino detto “Craxi”. Tutti insieme in un maxi che sembra fotografare quello che 10 anni fa si era iniziato a intravedere con il processo “Meta” e, più di recente, con il processo “Gotha”.

Per gli inquirenti, con il processo “Epicentro” emergerà la definitiva ed unitaria sinergia tra le famiglie mafiose a prescindere dalle contrapposizioni e dalle divisioni che avevano portato alla seconda guerra di mafia che tra il 1985 e il 1991 ha lasciato a terra quasi mille morti ammazzati.

In altre parole si è concluso quel percorso intrapreso all’inizio degli anni novanta quando, con la fine della faida tra i destefaniani e i condelliani, le cosche reggine si sono date nuove regole per la spartizione del territorio. Se prima della guerra il boss Pasquale Condello, detto il “Supremo”, era il braccio destro di don Paolino De Stefano, oggi si è tornati a 36 anni fa, al punto di partenza, a dimostrazione che le cosche non sono compartimenti stagni.

Una ‘ndrangheta “liquida” che da Archi, quartiere nella periferia nord di Reggio, controlla tutta la città dello Stretto. Oltre all’associazione a delinquere di stampo mafioso, infatti, i pm contestano numerose estorsioni ai danni degli imprenditori. Tutto era nelle mani dei boss e dei loro uomini accusati anche di danneggiamenti e intestazioni fittizie.

Con il maxi-processo “Epicentro” la Dda ha documentato le allarmanti dinamiche criminali che hanno caratterizzato la ‘ndrangheta reggina. Non solo, quindi, la definitiva e unitaria sinergia tra le famiglie mafiose, con la preminente influenza dei gruppi di Archi riuniti attorno alla cosca De Stefano. Ma anche le fibrillazioni registrate per la conquista del potere mafioso a Gallico e le spinte scissioniste portate avanti soprattutto dal Luigi Molinetti. Tensioni tra clan che hanno rischiato di deflagrare in un vero e proprio ‘terremoto’ di ‘ndrangheta, scongiurato dagli arresti eseguiti nell’ambito dell’operazione “Malefix”.

“È un po’ complicato il paese di Archi sai?”. “Non lo so quanto voi ma lo so!… perché si potrebbero fare tante cose perbene… con l’armonia e…. siamo un sacco…”. Il dialogo del 25 agosto 2019 tra Alfonso Molinetti, protagonista della seconda guerra di mafia, e Giorgino De Stefano, che aveva 5 anni quando è iniziata la mattanza, descrive bene il passaggio tra le due generazioni di boss. Si trovano a Giuliano, in Campania, dove Molinetti, dopo un lungo periodo di detenzione, era in semilibertà. Al centro della conversazione c’erano le frizioni tra i loro fratelli, Carmine De Stefano e Gino Molinetti “la belva”. Quest’ultimo, sempre al servizio degli arcoti, scalpitava per avere il “locale” di Gallico. Prima di una reazione violenta, “l’ambasciata” degli arcoti è arrivata al fratello Alfondo attraverso “Malefix” che, al più navigato boss ha spiegato che ormai anche i condelliani sono destefaniani: “Questi dei Condello… – dice – dei ragazzi che sono… hanno trovato in lui (Carmine De Stefano, ndr) un punto di riferimento… ma sempre nella cosa di… di vedere… di fare le cose in maniera che tutto funzioni per bene… che vada per bene… no?”.

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