Bisogna aver vissuto la fine degli ormai lontani anni Settanta per capire quanto fu dura la battaglia politica e culturale per introdurre anche in Italia il diritto all’aborto (1978, solo un anno dopo la legge francese che porta il nome di Simone Veil). Proponente il socialista Balsamo, a favore tutta la sinistra, con un ruolo particolarmente attivo dei Radicali e in particolare di Emma Bonino, che si spinse a clamorose azioni di provocazione pubblica (fu indagata nel 1975 per associazione a delinquere e procurato aborto, ma non fu processata perché la Camera non diede l’autorizzazione a procedere).

Ma va ricordato che gli anni Settanta furono quelli – indimenticabili – in cui da un lato furono introdotti molti nuovi diritti civili (primi fra tutti divorzio e aborto), dall’altro furono abrogate numerose norme vergognose come il “divorzio all’italiana” e il “matrimonio riparatore”.

La forte resistenza al cambiamento del partito più forte (la DC, con il pieno sostegno, per non dire la spinta, del Vaticano) spiega perché i sostenitori della legge che introduceva l’aborto dovettero accettare – pur di giungere al traguardo – che fosse prevista per i ginecologi la possibilità di sollevare la cosiddetta “obiezione di coscienza”, prevista a chiare note dall’articolo 9 della legge 194 (una prassi introdotta per la prima volta, e con un discreto successo, con riferimento al servizio militare). E la vergogna maggiore è che molti di questi “obiettori” (negli ospedali) praticavano – e praticano – regolarmente gli aborti nelle cliniche private, con tariffe così elevate da meritarsi l’appellativo di “cucchiai d’oro”.

Come emerge da una ricerca di Chiara Lalli, docente di storia della medicina e dirigente della Associazione Luca Coscioni, in Italia ci sono almeno 22 ospedali in cui almeno una categoria tra medici ginecologi, anestesisti, personale infermieristico e OSS è obiettore di coscienza. L’obiezione è così diventata una pratica normale negli ospedali italiani, spingendo molte donne a recarsi in altri paesi per poter abortire e obbligando i ginecologi non obiettori a praticare prevalentemente aborti, rinunciando al ruolo ben più lieto di far nascere nuovi bambini. In particolare, sono obiettori il 70,7% dei ginecologi, ma anche il 48,4% degli anestesisti e il 45,8% del personale non medico (per fare un confronto, nel Regno Unito gli obiettori sono il 10% e in Francia il 7%).

C’è un dato sconcertante dinanzi al quale le forze politiche riformiste dovrebbero impegnarsi con forza: in Italia solo due regioni hanno una percentuale di ginecologi obiettori inferiore al 50% del totale: la Sardegna e la Valle d’Aosta. La sinistra riformista italiana, purtroppo, non ha dedicato grande impegno al superamento di questa situazione vergognosa, che anche dinanzi al dramma dell’aborto permette ai ricchi quel che nega ai poveri.

Non essendo un esperto della materia, ho trovato molto intelligente (e pragmatica) la soluzione adottata dal presidente della Regione Lazio Zingaretti, che ha bandito un concorso per due ginecologi abortisti all’ospedale San Camillo di Roma, perché lavorino in una struttura dedicata nello specifico alle interruzioni di gravidanza, dove sarà molto difficile, una volta assunti, dirsi obiettori. E’ una soluzione che altri presidenti di Regione dovrebbero adattare per rendere più agevole l’attuazione di una legge dello Stato negli ospedali italiani.

Ma al di là di queste soluzioni parziali, le forze politiche progressiste dovrebbero affrontare ex novo la situazione indecorosa creatasi in Italia su un tema delicato e importante come l’aborto, e ridare pienezza di attuazione alla legge che nel 1978 portò l’Italia ad un posizione coraggiosa su questo tema di primaria importanza umana e morale. Sarebbe importante, ad esempio, sentire qual è la posizione del M5S e veder ribadita nettamente quella del Pd a sostegno di un fondamentale diritto delle donne.

E ritengo più che motivata la proposta di Filomena Gallo, avvocato e segretario della Associazione Luca Coscioni, di istituire una commissione di inchiesta parlamentare per chiarire le criticità nell’applicazione della 194 e verificare eventuali interruzioni dell’espletamento del servizio.

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