Cinema

Belli Ciao, il nuovo film di Pio e Amedeo fa il botto di Capodanno (al cinema). Ma manca il “peto inatteso”

Le dinamiche classiche della comicità all’italiana tornano limpide ed eterne (i meridionali che vanno al Nord a cercar fortuna, una parvenza mai sopita di scontro di classe), ma a queste si aggiunge il linguaggio punteggiato dal gergo all’inglese (la call, ciao guys, le stories) e un andirivieni di figure (i genitori di Pio ad esempio) che non tengono il peso del cicaleccio tra la coppia di comici

di Davide Turrini

Freno a mano tirato. Più “under oil” che “with oil”, direbbero loro. Pio e Amedeo al cinema non sono proprio i due volgari e distruttivi discoli della tv. Belli Ciao fa il piccolo botto di Capodanno nella palude delle sale in crisi (489mila euro sono comunque 67mila persone) e rimescola le carte del cinema zaloniano nunziantiano senza trovare una vera e propria briscola. Qualche figura sì, buona per fare la patta ai sessanta punti, ma si fatica a trovare l’asso che stanga. Anche perché, come già ne Il vegetale, con il regista Gennaro Nunziante, autore della nascita e dell’affermazione zaloniana, privato di Checco e con Rovazzi (non un comico), la struttura della risata, l’intelaiatura del discorso, la tenuta generale del film ci sono. Manca però il graffio prepotente, il peto inatteso, la scorrettezza ricercata e ridondante.

Le dinamiche classiche della comicità all’italiana tornano limpide ed eterne (i meridionali che vanno al Nord a cercar fortuna, una parvenza mai sopita di scontro di classe), ma a queste si aggiunge il linguaggio punteggiato dal gergo all’inglese (la call, ciao guys, le stories) e un andirivieni di figure (i genitori di Pio ad esempio) che non tengono il peso del cicaleccio tra la coppia di comici. Belli Ciao, che in fondo è un lungo flashback, ad ogni modo, parte rapido e disinvolto con una ventina di minuti trascinanti. Pio e Amedeo coordinano il centro di recupero per meridionali che hanno vissuto a Milano. Di fronte all’imbarazzo e alla vergogna di tanti meridionali “pentiti” che sono tornati a casa e non ce l’hanno fatta, Pio e Amedeo iniziano a raccontare la loro storia fin da bambini pronti ad affermarsi nelle rispettive posizioni lavorative dovute alle loro doti. Pio espertissimo di economia spiccherà il volo per fare il manager a Milano; Amedeo medico insistente in erba finirà invece a dirigere una sanitaria tra plantari e busti rimanendo al paesello.

Poi quando Pio tutto mocassini senza calze, anelloni trendy alle dita e un eloquio tra il tac, l’easy e “adoro” tocca tornare a casa con la fidanzata per gestire dei fondi modello PNRR da assegnare al paese d’origine, è Amedeo a sfondare al settentrione, inseguendo Pio di ritorno a Milano, alla ricerca di quei soldi insperati. Solo che Pio non è proprio quel fenomeno della finanza che tutti credono. Le gag non mancano e incrociano perfino la dimensione del surreale (Tatì, ma anche un Zalone sovrapposto al Pozzetto de Il ragazzo di Campagna), ma è come se non ci fosse realmente il desiderio di mostrarsi cattivi e corrosivi, di sbranare il pubblico e farne polpette. Tutto rimane nell’alveo di uno schema prevedibile, di un’ironia sottile e garbata, e addirittura di una riflessione politica sul sociale che suona anche piuttosto bene. Ad occhio la collaborazione del terzetto Pio D’Antini, Amedeo Greco e Gennario Nunziante non sembra concludersi qui. Special guest: Gegia non proprio al massimo del trash preventivabile.

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