Si è sparato la notte di Natale, chiuso nel bagno del proprio appartamento in piazza Castello, nel centro di Torino. Ma prima, Angelo Burzi – 73 anni, ex assessore ed ex consigliere regionale di Forza Italia – ha scritto tre lettere, una alla moglie, una alle figlie e una agli amici del mondo politico, per descrivere il profondo malessere causato dal processo e dalla condanna subita per la “Rimborsopoli” piemontese. Poi ha chiamato i carabinieri, annunciando il gesto che stava per compiere e chiedendo che informassero la moglie. Infine si è sparato un colpo alla tempia con una pistola regolarmente detenuta. “Contro di lui (e molti altri) hanno usato la giustizia. Perché c’è gente che l’amministra solo per combattere nemici”, ha twittato il fondatore di Fratelli d’Italia Guido Crosetto, tra i politici che hanno usato la vicenda per attaccare la magistratura, suscitando la reazione del procuratore generale torinese Francesco Saluzzo.

La carriera politica – Angelo Burzi, liberale vecchio stampo, è stato uno dei fondatori di Forza Italia in Piemonte. Nel 1995 è stato eletto in Consiglio regionale e due anni è dopo diventato assessore al Bilancio della giunta guidata da Enzo Ghigo. “Provo un profondo dolore per la scomparsa di Angelo. Politico di razza, autentico liberale, persona dalle grandi intuizioni”, lo ricorda lui in una dichiarazione all’Ansa. “Fantastici quegli anni. Riposa in pace Angelo”, si legge invece nel necrologio sulla Stampa firmato da molti esponenti azzurri piemontesi. Terminata l’esperienza da assessore, Burzi è stato eletto in Consiglio regionale, dov’è rimasto fino al 2014, sempre nell’area di centrodestra. Il 10 maggio 2012, insieme ad altri colleghi, aveva lasciato il Popolo delle libertà (Pdl) per fondare il gruppo Progett’azione. Terminata l’esperienza di consigliere, era rimasto attivo in politica senza ruoli ufficiali, collaborando a lungo con gli eletti, come l’ex assessore al Bilancio (e attuale viceministro per lo Sviluppo economico) Gilberto Pichetto, e fondando un think tank, la Fondazione Magellano.

Il processo – Di recente aveva saputo di essere malato, ma a pesare di più sulla decisione di uccidersi – ha spiegato nella lettera – è stata la condanna arrivata il 14 dicembre davanti alla Corte d’appello di Torino nell’ambito del processo “Rimborsopoli per i rimborsi gonfiati ottenuti dai consiglieri regionali tra il 2009 e il 2012. La Corte gli aveva inflitto una pena di tre anni di carcere, la più alta, per peculato relativo sia ad alcune spese personali, sia a quelle dei componenti del gruppo Progett’azione. In primo grado, il 7 ottobre 2016, Burzi era stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”. Sentenza ribaltata una prima volta dalla Corte d’appello, che il 24 luglio 2018 lo ha ritenuto colpevole condannandolo a due anni e quattro mesi. Poco più di un anno dopo, la Cassazione ha stabilito che le pene di molti condannati dovessero essere ricalcolate e ha ordinato un secondo processo d’appello, quello terminato appunto il 14 dicembre scorso, con una pena più alta per Burzi.

La lettera – L’ex assessore ha dato disposizioni affinché una persona consegni le copie della missiva ai politici destinatari, a cui lascia anche la libertà di renderla pubblica. Loro, di comune accordo, hanno stabilito di farlo dopo il funerale, la cui data non è stata decisa, in attesa del nullaosta della Procura dopo l’autopsia. Tra i destinatari c’è l’ex presidente della Regione Roberto Cota, che con Burzi aveva un rapporto personale: “Ci sentivamo spesso la sera mentre tornavo in treno a casa dal lavoro, e quando ero nel mio studio legale a Torino, pranzavamo assieme”, racconta a ilfattoquotidiano.it. Dopo non aver rinnovato la tessera della Lega, Cota ha preso quella di Forza Italia: “Con Angelo c’era una comunanza di visioni sul pensiero liberale e sui diritti civili”, ricorda. “Per lui la condanna era un’ingiustizia, ma poteva camminare a testa alta più di molte altre persone. Temeva la sospensione della pensione, unica fonte di guadagno, non essendosi lui arricchito dopo trent’anni di politica e dovendo anche affrontare qualche spesa medica”.

Le polemiche – In passato Burzi si era anche opposto al taglio dei vitalizi. Nella lettera lasciata prima di spararsi, fa i nomi di alcuni magistrati (tra cui Silvia Bersano Begey, giudice che lo assolse, scomparsa nel febbraio scorso), ma a quanto risulta non affronta la questione politica. “Io penso che sia anche colpa del delirio della politica rappresentato dai Cinque stelle”, è l’analisi di Cota. All’Ansa, l’ex presidente del Piemonte ha detto di ritenere “necessario un serio approfondimento pubblico della vicenda, perché c’è stato un accanimento giudiziario che dura ormai da quasi dieci anni”, con “un’inspiegabile differenza di risultati rispetto a spese assolutamente uguali e anche a sentenze diverse su fatti analoghi”. Per il suo predecessore Ghigo, Burzi, “da uomo orgoglioso qual era, ha sicuramente sofferto la vicenda giudiziaria che lo ha coinvolto in un periodo storico in cui, con indubbie storture commesse da alcuni, anche molti politici retti e onesti sono stati travolti, convinti in buona fede, secondo le regole allora vigenti, di non aver mai commesso illeciti”. Crosetto, ora ai vertici di Fratelli d’Italia dopo molti anni in FI, ricorda che il collega era “piegato da anni di assurde ingiustizie e violenze giudiziarie”.

La difesa del pg – Il procuratore generale Saluzzo, però, non ci sta e difende il lavoro dei magistrati in un lungo comunicato, bollando alcune dichiarazioni come “destabilizzanti”: “L’azione di questi Uffici è rigorosamente ancorata ai principi e alle garanzie costituzionali, all’imparzialità ed all’assoluta indipendenza”, scrive, avvertendo che alcune affermazioni “potrebbero costituire anche vilipendio dell’ordine giudiziario”. Nel merito della vicenda, Saluzzo rileva come si sia “tentato di accreditare l’idea di una persecuzione giudiziaria” nei confronti del politico, che però, ricorda, “non ha mai subito perquisizioni” e “aveva patteggiato una pena di oltre un anno di reclusione per una serie di ipotesi che, evidentemente, non riteneva di poter contestare, pur rivendicando, in più occasioni, la correttezza complessiva del suo operato”. “Va ristabilita la verità e l’obiettività delle vicende e delle dinamiche”, conclude il procuratore generale, “e nelle dinamiche processuali vi è anche la diversa valutazione del giudice (soprattutto di appello) che non deve essere apprezzato ed applaudito solo quando assolve o riduce le pene”.

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