L’ex presidente della Regione Piemonte, il leghista Roberto Cota, è stato condannato a un anno e 7 mesi di carcere dalla Corte d’appello di Torino per l’inchiesta sui rimborsi per gli ex consiglieri regionali. Con la stessa sentenza è stato condannato anche il deputato della Lega e attuale sindaco di Borgosesia Paolo Tiramani (a un anno e 5 mesi) e la parlamentare di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli (a un anno e 7 mesi). Il processo riguardava la regolarità dell’utilizzo dei fondi destinati al funzionamento dei gruppi politici rappresentati in consiglio regionale fra il 2010 e il 2014. Si è trattato dell’appello bis, celebrato per iniziativa della Corte di Cassazione che aveva annullato una sentenza precedente. Il nodo da sciogliere, secondo quanto è emerso nel corso della discussione, era capire se i consiglieri regionali chiamati in causa siano o meno effettivamente colpevole del concorso in peculato commesso dai rispettivi capigruppo. Durante le conclusioni l’avvocato Guido Carlo Alleva, difensore di Cota e Montaruli aveva sostenuto che “non vi furono comunicazioni, discussioni o anche semplici conversazioni con i capigruppo. Non vi furono insistenze, proteste o pressioni per ottenere il rimborso, né verso le segretarie, né verso chiunque altro. Si tratta di semplice presentazione di scontrini. Questo non è un contributo o un antecedente causale alla realizzazione di un peculato”. I giudici, tuttavia, non sono stati dello stesso avviso.

Cene, pranzi, spese di rappresentanza, trasferte, alberghi e anche tosaerba, bigiotteria, acquisti in negozi di abbigliamento prestigiosi come Olympic a Torino e Marinella a Napoli le famose “mutande” verdi di Cota che l’interessato ha sempre negato fossero mutande precisando che erano “pantaloncini acquistati in un viaggio a Boston completamente a mie spese”.

Secondo le motivazioni della sentenza della Cassazione che nel 2020 rinviò in corte d’appello solo per chiedere motivazioni più solide sul concorso in peculato con un collega di partito, Cota rivendicava “per sé un potere di spesa generale, di posizione, sostanzialmente sottratto a sindacato in ragione del ruolo ricoperto” rivelando una “concezione privatistica” dei rimborsi spese privi della “necessaria inerenza alle finalità pubbliche sottese al fondo di funzionamento dei gruppi consigliari”.

Per quanto riguarda le contestazioni delle spese, la Cassazione ritenne “non illogiche” le conclusioni cui erano giunti i giudici del primo appello condannando già all’epoca Cota a un anno e sette mesi per la “non occasionalità e sistematicità” con la quale l’ex governatore metteva a rimborso spese scontrini che non avevano attinenza con il suo ruolo in Regione. Si tratta di spese per effetti personali, “scontrini a catena, spese per ristorazione in luoghi limitrofi all’abitazione, spese sostenute durante viaggi all’estero”. Molti conti di pranzi e cene dagli “importi rilevanti i cui giustificativi – osserva la Cassazione – farebbero riferimento a luoghi diversi da quello in cui l’imputato si sarebbe trovato”. Sulle “mutande verdi”, in particolare, la Suprema Corte concordò con la sentenza di merito sul fatto che il loro acquisto non può essere addebitato ai contribuenti per il solo fatto che Cota era andato “negli Stati Uniti per un corso di inglese” e “che in tale occasione egli avesse in programma di incontrare, e poi incontrò, al Mit di Boston un ingegnere italiano per un progetto sulla innovazione relativo allo sviluppo economico”.

La condanna più alta è stata inflitta all’ex consigliere Angelo Burzi (all’epoca nel Pdl) che è stata ricalcolata in 3 anni di reclusione. Altri imputati in cui è intervenuta la Corte d’Appello sulla pena detentiva sono Rosanna Valle (all’epoca Pdl, due anni e quattro mesi), Roberto De Magistris (Lega Nord, un anno e sei mesi) e Daniele Cantore (Pdl, un anno e sette mesi). Per un’altra decina di ex consiglieri la pronuncia ha riguardato la durata della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, che è stata ridotta.

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