Il Fatto Quotidiano ha preso una decisione non scontata e si è assunto la responsabilità di un’iniziativa civile e politica di peso e non di mera testimonianza, come era stata la candidatura di Liliana Segre – a mio avviso non particolarmente significativa – già lanciata da Antonio Padellaro.

La petizione “Berlusconi al Quirinale? No, grazie” è un invito, rivolto a tutti i cittadini di qualsiasi orientamento politico, a sottoscrivere un semplice promemoria che riepiloga le infinite ed inconfutabili ragioni di ordine istituzionale, politico, etico, giudiziario, ma anche di elementare buon senso e decenza, totalmente incompatibili anche solo con la mera eventualità che B. possa diventare Presidente della Repubblica.

Destinatari del “promemoria” sono i Parlamentari della Repubblica che ovviamente non dovrebbero aver bisogno di un simile richiamo, se fossimo davanti all’ordinario e inevitabile gioco del totonomi (meno avvincente del solito) che precede il voto per il Colle “rubricabile sotto il titolo ‘Fantaquirinale’ “.

Il rischio che si va materializzando non è quello paventato da chi inorridisce per la “torsione delle regole” che si verificherebbe con il bis di Mattarella (escluso drasticamente dall’interessato) o con il trasferimento di Draghi al Colle, un inquilino più dignitoso di altri “quirinabili”. Quello a cui si sta già assistendo, un pericolo concreto ed attuale, è l’ulteriore processo di degrado istituzionale in atto nel Parlamento “grazie” ad una formidabile campagna acquisti nei confronti dei peones da parte dei fedelissimi di B. per garantirgli l’elezione dalla quarta votazione in poi, ovvero un “risultato eclatante” a coronamento di una carriera politica “inimitabile”.

E come sia possibile che il vergognoso mercato possa dare l’esito sperato tra transfughi e fuoriusciti, Italovivi inclusi, è presto detto e deriva in gran parte dalla crescita abnorme del gruppo Misto; tanto che, come si è accorto anche Enrico Letta, “non sai più chi rappresenta chi”. E puntualmente, quasi indignato il leader del Pd ha aggiunto: “l’assenza di vincolo di mandato prevista dalla Costituzione non significa che l’eletto prende il seggio e ci fa quello che vuole. E’ una privatizzazione del voto che finisce per alimentare il disgusto da parte dei cittadini”. Un fenomeno che può avere un impatto decisivo e devastante per il Quirinale, “dove i grandi elettori sono decisivi e il voto di un deputato del gruppo misto al quarto cambio di casacca vale quanto quello del segretario di uno dei principali partiti” (La Stampa, 30 novembre).

Peccato che poi la chiarezza si appanni e la cautela delle perifrasi e del politichese prevalga quando si tratta di venire al punto e di spiegare semplicemente da segretario “di uno dei principali partiti” perché la candidatura di B., un impresentabile sotto ogni punto di vista, è improponibile. Enrico Letta se la cava così: “Non credo che la candidatura di Berlusconi sia in grado di essere votata dal Pd e nemmeno da una larga maggioranza. Se il capo dello Stato non viene eletto a grande maggioranza cade il governo”. Per evitare il merito ci poi molti e molte, tra politici di alta fascia e commentatori “di rango”, che si buttano sulle donne: il ministro Orlando, per esempio, non vede bene al Colle B. in quanto ritiene “molto auspicabile una donna al Quirinale”. Pochi anche quelli che azzardano un profilo che, dati i tempi, sembra un po’ obsoleto e persino azzardato se non decisamente rischioso.

Ci ha provato Giuseppe Conte, forse per tentare un passo avanti dopo aver già dichiarato “Rispetto Silvio Berlusconi ma non è il nostro candidato” ed è riuscito a delineare l’identikit un po’ astratto ma condivisibile di “una persona di grande profilo morale e autorevolezza” lasciando solo intendere, come per timore di urtare qualche sensibilità, che quantomeno non deve essere un pregiudicato per frode fiscale e un finanziatore della mafia.

Ci volevano Nino Di Matteo e Piercamillo Davigo, additati non a caso come “cattivi magistrati” da tutti coloro che non hanno nulla da obiettare sul “diritto di Berlusconi di aspirare al Colle” rivendicato con vemenza da Luciano Violante sul Giornale, per dire le parole chiare e definitive che non pronuncia nessun politico.

Nino Di Matteo senza entrare nel merito di valutazioni politiche ha risposto a Mezz’ora in più alla conduttrice, precisando semplicemente che chi va a presiedere il Csm non può avere interessi o rancori personali nei confronti della magistratura; in secondo luogo ha osato ricordare c’è una sentenza definitiva di condanna, quella del 2014 a carico di Dell’Utri per associazione esterna, in cui si definisce la sua intermediazione nell’accordo di protezione dal ’74 al ’92 tra i boss mafiosi Bontade e Teresi e il signore di Arcore.

Piercamillo Davigo a Dimartedì si è limitato a dire quello che pensano tantissimi cittadini che assistono increduli, sgomenti o indignati al “teatrino della politica” ancora movimentato dall’inossidabile capocomico: “Berlusconi al Quirinale? Comincerei a vergognarmi ancora di più di essere italiano”.

L’adesione alla petizione lanciata dal Fatto che in 48 ore ha raggiunto 80mila firme lascia intendere che la lucida e amara constatazione di Davigo sia fortemente condivisa e che nonostante l’allarme Covid, con bombardamento mediatico annesso, molte persone abbiano ancora a cuore le sorti della res publica e sufficiente forza per dire no alle pretese dell’impresentabile B., ma più ancora all’acquiescenza dei propri rappresentanti che, come scrive Marco Travaglio, non trovano “le parole per dirlo”.

E anche le reazioni scatenate del Giornale che si scaglia per bocca di Violante contro “la campagna denigratoria” del direttore del Fatto, come la contro-petizione di Libero al grido “No a chi vuole rubarci il Quirinale” (ma B. sarebbe dunque il candidato unico e insostituibile del centrodestra?) confermano che la petizione si doveva fare ed è sulla buona strada.

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