La Cassazione era stata chiara: la dispersione di polveri di carbone c’era stata, anche i danni per gli agricoltori. Ed è assodato che la copertura dei carbonili avrebbe evitato il peggio. Dubbi erano stati espressi, però, sulla responsabilità dei due manager Enel imputati. Davvero avrebbero potuto assumere decisioni concrete sulle opere di ambientalizzazione da realizzare nella centrale di Brindisi nei primi anni Duemila? Davvero avrebbero potuto evitare che una coltre nera proveniente dal parco di stoccaggio del minerale e dal nastro trasportatore si depositasse su frutta e verdura nei campi vicini?

Le perplessità sono diventate mercoledì sera un dato di fatto con una sentenza, al termine dell’appello bis del processo ai dirigenti del colosso elettrico, che li assolve “per non aver commesso il fatto” e revoca qualsiasi forma di risarcimento del danno a contadini ed enti costituiti. Le motivazioni saranno note entro 90 giorni. Di certo, al momento, ci sono zero ristori per i proprietari di terreni nella zona di Cerano, dove si trova la centrale termoelettrica Federico II, che stando ai piani sarà decarbonizzata entro il 2025, non un solo centesimo per la Provincia di Brindisi che aveva chiesto 500 milioni di euro, battagliando dieci anni per il riconoscimento del danno ambientale.

Il processo di primo grado è iniziato nel 2012 e riguardava una stagione precedente di diversi anni, dal 2000 in poi. Nell’appello bis, scaturito da una sentenza di annullamento con rinvio della Cassazione, erano rimasti in due dei 15 imputati originari. Si trattava di Antonino Ascione e Calogero Sanfilippo, condannati inizialmente a 9 mesi di reclusione per getto pericolo di cose e danneggiamento aggravato. Per altri due manager in precedenza era stato deciso il proscioglimento per prescrizione. Altri 11 imputati erano stati assolti in primo grado. Al loro fianco la società Enel Produzione, citata come responsabile civile e difesa, come i due imputati, dall’ex ministra Paola Severino e da Angelo Nanni.

Proprio le mail trovate nel computer di Sanfilippo avevano destato scalpore investigativo: gli agricoltori venivano definiti “rompicoglioni” e “piattole”, ma per la Cassazione ciò non dimostrava affatto che i manager imputati avessero alcun potere per disporre o richiedere interventi di manutenzione tali da impedire i cosiddetti “sporcamenti” delle coltivazioni: “Gli addetti all’unità di business della centrale – scrivevano gli Ermellini – avrebbero dovuto richiedere il benestare ai responsabili di area di business in ordine alla sottoscrizione di accordi transattivi con i proprietari dei fondi limitrofi. Va da sé, quindi, che dai poteri delegati ai vertici della centrale, esulava qualsiasi possibilità di programmare e attuare in via autonoma investimenti di tipo strutturale sull’impianto stesso con conseguente assunzione dei relativi impegni di spesa”.

“La Corte – aggiungevano con riferimento ai giudici del primo appello – non ha spiegato per quali ragioni si dovesse ritenere che i poteri di controllo degli imputati comprendessero anche quello di adottare o sollecitare l’adozione dei rimedi, considerati idonei a scongiurare i fenomeni dannosi prodotti dalla centrale elettrica”. Per la realizzazione dei due “dome” che ricoprono i carbonili, sono stati impegnati 132 milioni di euro. L’opera è stata avviata nel 2012 e conclusa nel 2015, proprio durante il processo e nell’ambito di investimenti che Enel quantifica in complessivi 700 milioni di euro. Soddisfazione è stata espressa dalle difese della società elettrica. Una volta depositate le motivazioni della Corte d’Appello di Lecce, non si esclude un ritorno in Cassazione della vicenda. Se non altro per discutere, ancora una volta, dei risarcimenti.

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