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Myrta Merlino esce con ‘Donne che sfidano la tempesta’: “Per cambiare le cose non bastano stipendio e lavoro, bisogna avere potere”

Sono storie di ragazze, madri, sorelle, quella raccolte dalla giornalista e conduttrice tv nel suo nuovo libro (Solferino): "Non volevo scrivere un saggio o un libro ideologico. Sono stata semplicemente travolta dalla situazione pandemica. Nei giorni del lockdown e della zone rosse ho sentito che la televisione era diventata letteralmente un bene essenziale. Durante il mio programma abbiamo quindi creato una mail dedicata ai problemi dei nostri spettatori. In meno di un anno erano arrivate 140mila mail"

di Davide Turrini

C’è l’anestesista Annalisa che nel suo piccolo ha scoperto che il Covid era arrivato in Italia. C’è Angela che ha perso la madre per Covid in una Rsa e parla di “interessi economici che prevalgono su quelli sanitari”. C’è l’infermiera Michela, in prima linea contro il virus, a cui la Regione Emilia Romagna calerà – come a tutte le colleghe – lo stipendio. Ma c’è anche Luana, ingoiata e uccisa da un orditoio sul suo luogo di lavoro e Monica, fattorino di Amazon, che appena sfrega il camioncino aziendale le scalano anche tre quarti di stipendio. Queste sono solo una manciata di una ventina di storie di ragazze, madri, sorelle, raccolte dalla giornalista e conduttrice tv Myrta Merlino in Donne che sfidano la tempesta (Solferino).

Possiamo definire il suo libro un manifesto femminista 3.0?
Non volevo scrivere un saggio o un libro ideologico. Sono stata semplicemente travolta dalla situazione pandemica. Nei giorni del lockdown e della zone rosse ho sentito che la televisione era diventata letteralmente un bene essenziale. Durante il mio programma abbiamo quindi creato una mail dedicata ai problemi dei nostri spettatori. In meno di un anno erano arrivate 140mila mail.

Uno tsunami.
C’era di tutto, gente che non riusciva a fare un tampone per sapere se era positiva. Gente che smadonnava. Gente che cercava ascolto in una fase in cui si sentiva sola, abbandonata e terrorizzata. E dentro questa marea il 75% erano donne. Le ho chiamate anche in tv, ma alla fine ho pensato che il libro rispondesse all’urgenza di fissare su carta quelle storie. La tv è un grande tritatutto potrebbe farle diventare coriandoli.

Tutte donne di una tenacia incredibile e a subire un dolore sempre più grande.
Sono inciampata in storie in alcuni casi ineludibili. La tv ha questa potenza: fai grande caciara, ma puoi fare la differenza. Sono franca nel dirlo: durante la pandemia in molti momenti ho fatto un gran teatrino ma per molte persone era necessario ci fossi. Le donne hanno preso una mazzata pazzesca durante la pandemia. Hanno subito un rinculo all’indietro.

Non ci fossi stato Covid quale collante poteva esserci tra queste solitudini?
In realtà il Covid è una lente di ingrandimento su falle che abbiamo sempre avuto davanti agli occhi. Ora dobbiamo lasciarci addosso questi occhiali. Occhiali speciali che mi permettono di guardare meglio. Perché questo è un momento in cui qualcosa può cambiare. Il Covid ha trasformato molte vite, ma instillato anche voglia di rinascere e cambiare. È come il dopoguerra.

Nel libro parla spesso di “sorellanza”: ci spiega il concetto in quattro parole?
Se noi donne andiamo in ordine sparso non portiamo a casa nulla. Dobbiamo fare battaglie oltre i nostri stretti interessi. L’idea di fondo è che ogni donna deve essere convinta e determinata nel sapere che la battaglia di una riguarda tutte, che la sconfitta di una riguarda tutte. Io me la sono pure cavata nella vita e sono in una posizione minimamente vivibile e di potere. Meglio stare in mezzo agli uomini e non farmi rompere le scatole. Ho iniziato prima con Zavoli, in Rai con Minoli, poi Alan Friedman che era un matto, infine è arrivata a La7 con un direttore che mi ha voluto, ma mai, dico mai, avessi avuto o una madrina o una volta nella quale semplicemente una donna mi avesse teso una mano dicendo di fare squadra.

La top model Emily Ratajkowski ha affermato nella sua biografia: “A vent’anni non capivo che le donne che traggono potere dalla bellezza devono quel potere agli uomini di cui suscitano il desiderio. Sono loro a esercitare il controllo, non noi. Oggi mi chiedo: ho autonomia, ma posso chiamarla emancipazione?”
Sottoscrivo al 100%. Io non ce l’ho con nessuno, ma detesto le donne che usano debolezze di altre donne per saltare loro sopra. Lo dico però con chiarezza dopo una gavetta di decenni: tutto quello che hai è tuo e non te lo leva nessuno. Quindi nel mio piccolo mi sento molto sicura sulle mie gambe, molto capace di sfidare le tempeste. Le donne che usano invece scorciatoie non solo fanno male ad altre donne, ma vi dirò di più: fanno male a loro stesse. Finiscono per essere solo fragili. Se a uno che ti ha voluto gli gira da un momento all’altro non sei più lì. È una cosa terribile che crea insicurezza nelle donne e non gli fa affrontare il tema più serio: il potere. Non basta avere uno stipendio e un lavoro, bisogna avere anche potere. Se lo usi bene non è una roba sporca ma le donne atavicamente e geneticamente sono meno abituate al potere e ai suoi vizi perché questi sono connaturati nella storia maschile.

La situazione si sblocca solo sporcandosi le mani con il potere?
La ministra Teresa Bellanova è venuta alla presentazione di un mio libro e a un certo punto è voluta intervenire. Ha detto: sono nata bracciante ma io amo il potere perché quando sono stata potente ho fatto una legge per aiutare quelle che erano come me. Aggiungo io: se il potere lo usi bene è una roba bella.

Essere mamma per una donna, nonostante i diritti conquistati, è ancora un ostacolo per la propria realizzazione lavorativa?
Stiamo parlando di una sòla. Ti mettono spesso nelle condizioni di dover scegliere. Io ho tre figli e ho avuto una vita faticosa ma privilegiata. So però di molte donne che quando gli spieghi che per avere un minimo di ruolo professionale devono rinunciare a fare figli loro non li fanno o semmai rimangono incinta a 45 anni con l’inseminazione artificiale. Ed è un gran problema. Una donna vuole anche essere madre. Ovvio che il è mondo cambiato, abbiamo diritti mai avuti prima, ma c’è una sostanza importante: essere donna, madre e lavoratrice è un terno al lotto.

Pietro, Giulio, Caterina. Che mamma è stata Myrta Merlino?
Scrissi un libro su questa materia e lo aprii con una frase: “Non esiste un modo per essere una madre perfetta, ma milioni di modi per essere una buona madre”. Io ad esempio sono una mamma nevrotica. I miei figli odiavano il mio telefonino quando lavoravo da remoto. Li portavo a scuola correndo come una matta, ma in auto mi attaccavo al telefono mentre loro volevano raccontarmi le cose fatte a scuola. Sono stata una mamma piena di difetti ma ho fatti i salti mortali mettendo i figli al primo posto. Oggi tutte e tre mi dicono: non chiamarmi tutti i giorni, non sei mica mia sorella”.

Una mamma tutto redazione e corse in automobile…
Vero! Ero una mamma che correva. Avessi avuto uomini più presenti forse avrei corso meno, ma la differenza sta nel fatto che un uomo quando riesce a fare una cosa per i suoi figli è fiero, quando non riesce non soffre; quando una donna riesce a fare qualcosa per i suoi figli pensa sia il minimo sindacale e quando non riesce si sente una madre pessima. Questo senso di colpa dobbiamo combatterlo. Tante donne rinunciano a far figli anche per questo. La società ci deve dare delle opportunità in più perché non è fatta per donne che lavorano.

Tra l’altro nel libro c’è una bella bordata ai maschietti. Scrivi: “prima le sorelle che il principe azzurro”…
Forse per le tante cavolate che ci fanno leggere e guardare da piccole le donne cercano spesso il lieto fine. E questo lieto fine ha molto a che fare con l’amore per un uomo. Non sono una donna anti uomini: lavoro con uomini, ho figli maschi, sono una fan degli uomini e il mio libro non è contro gli uomini. Il principe azzurro che tutte agognano per esempio io l’ho trovato a 46 anni. Solo che noi donne dobbiamo andare oltre il sogno personale e verso una storia collettiva tra sorelle che hanno gli stessi problemi, le stesse necessità. Gli uomini fanno branco con gente che non gli piace ma sanno che è importante farlo, le donne per fare branco invece devono essere molto amiche perciò anche noi dobbiamo dare più importanza alle cose che abbiamo in comune. Dobbiamo cambiare lo schema di gioco, il modello. Se cerchiamo di dare una mano a una collega invece di pestarle un piede creiamo un meccanismo affinché questa collega farà la stessa cosa in un altro momento. Ilaria Capua ce lo spiega nel mio libro: la leadership femminile si è trasformata in survivorship. Sei talmente corazzata dopo essere stata ferita e aver combattuto che quando arrivi a comandare non guardi in faccia a nessuno. Invece io voglio un mondo con tutte le caratteristiche, le morbidezze, le capacità di essere inclusive, di non essere testosteroniche, di non avere il problema di chi ce l’ha più lungo, come quello delle donne.

Torniamo a due storie più “politiche” del tuo libro. Ci sono donne che fanno lavori in condizioni di sicurezza e salute bestiali. Com’è possibile essere tornati alle cronache da pre rivoluzione industriale?
In molte aziende c’è il problema dell’algoritmo e non esiste più il fattore umano. Sono aziende che ti fregano perché l’iniziale promessa è che lavori quando vuoi. Sulla carta è un lavoro accessibile, ma poi capisci che sei pagata una miseria, che se non lo fai in maniera forsennata non guadagni niente, che alla terza volta che sei assente l’algoritmo non ti chiama più. Parti con fare un lavoretto e ti ritrovi schiava. Il mondo del lavoro è impazzito. Le istituzioni e le leggi nazionali non funzionano più. Oggi in trasmissione ci siamo collegati con i lavoratori licenziati della Saga Coffee a Gaggio Montano in provincia di Bologna. L’80% sono donne. Le aziende delocalizzano e duemila all’ora e la politica e gli stati sono lenti e impotenti. E l’anello debole sono sempre le donne”.

Nel libro si parla anche di malasanità durante il Covid, mentre il governo Draghi nel Nadef prevede un’ulteriore diminuzione della spesa pubblica per il settore sanitario…
“La coperta è corta. La sanità pubblica è patrimonio inestimabile. L’idea da più di vent’anni è che tutto dipenda da quello che più conviene fare. Invece in alcuni momenti conviene fare la cosa giusta. Eppure facciamo fatica a investire nella sanità pubblica. Nel mio libro mostro sia le luci che le ombre di quello che è accaduto in Italia negli ultimi mesi, ma gli errori sono stati tanti. All’inizio siamo stati presi alla sprovvista ed eravamo impreparati, ma se perseveri negli errori come nel caso di Enrica, di cui scrivo nel libro, malata di Covid e rimandata a casa dall’ospedale dove doveva essere ricoverata, allora sei incapace”.

Ad una ragazza che vuole fare il tuo lavoro che consiglio daresti?
“Primo: pancia a terra. Questo lavoro oggi è complicatissimo e parcellizzato. Secondo: orecchie attente, imparare e capire sempre. Terzo: non diventare mostri. Certo, ci vuole grande grinta e voglia di fare, ma bisogna rimanere se stesse. In tv io faccio quello che credo e che sento. Ad esempio se devo commuovermi mi commuovo. E visto che questo lavoro sarà sempre più individualizzato ogni giornalista emergerà nella sua individualità. In questo le donne hanno una marcia in più. La mia parte femminile la rivendico. A una giovane donna dico: sii te stessa”.

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