Il 9 novembre 1921 sorge, durante il congresso di Roma, il Partito nazionale fascista, istituzionalizzazione del movimento dei Fasci italiani di combattimento. In sostanza, il fascismo si trasforma da movimento a partito. Come primo fondamento si dice che “il Fascismo è costituito in Partito politico [le maiuscole non sono trascurabili nel loro significato] per rinsaldare la sua disciplina e per individuare il suo credo”.

Va evitato l’errore di considerare il movimento delle origini come un fenomeno in parte positivo, a fronte del partito che instaurerà la dittatura e resterà in vita fino al 25 luglio 1943. In questa prima fase, la brutalizzazione della politica in violenza investe tanto il movimento quanto il partito. Il programma del fascismo sansepolcrista del 1919 rendeva esplicito il modo con il quale il movimento stava entrando nella vita politica: “Noi poniamo la valorizzazione della guerra rivoluzionaria al di sopra di tutto e di tutti”. Una dichiarazione di ostilità armata che si sostanza con la crescita dei finanziamenti e delle adesioni e porta il fascismo a scatenare la prima guerra civile nel corpo della nazione.

A partire dal novembre 1920 lo squadrismo aveva compiuto un salto in avanti passando dagli attacchi a singoli o ristretti gruppi di antifascisti ad azioni più massicce miranti alla distruzione di cooperative, Camere del lavoro o all’esautorazione delle amministrazioni comunali socialiste. All’aumento degli assalti segue una netta crescita delle adesioni specialmente nell’area padana, nell’estremo nord est, in Toscana e in Puglia. Le elezioni politiche del maggio 1921 sanciscono l’affermazione del movimento che era stato inserito da Giovanni Giolitti, in accordo con Benito Mussolini, nel Blocco nazionale della destra liberale, non senza la riottosità della base fascista. La trasformazione del movimento in partito conosce un’accelerazione proprio in conseguenza del risultato elettorale, per stabilire un rapporto di dipendenza tra il gruppo parlamentare dei 37 deputati e i fasci locali.

Anche come movimento, il fascismo aveva conosciuto forme di coordinamento e di indirizzo con congressi, consigli nazionali e commissioni esecutive il cui potere, in assenza di un’istituzione centralizzata, era più flebile. Lo strumento partito, con le inevitabili burocratizzazioni che comporta (si pensi ai segretari federali come nuovi professionisti della politica), mira all’instaurazione di una gerarchia del centro sulla periferia e di Mussolini sui capi locali. In questo senso si spiega il richiamo alla disciplina più volte ripetuto nel corso di quei mesi. Dal punto di vista esterno, la trasformazione in partito per Mussolini si offre come un modo per “riqualificare il fascismo agli occhi dell’opinione pubblica borghese”. Un partito sembrerebbe più rispettabile di un movimento.

Il rafforzamento della leadership di Mussolini (e del gruppo dirigente milanese) evita i condizionamenti delle più forti organizzazioni paramilitari locali. Non è che un passaggio di un conflitto interno ancora vivo nel 1924 che si esprimerà, dopo la conquista del potere, nella richiesta dei ras locali di avviare una seconda ondata squadrista.

Per diversi fascisti della prima ora, la parola “partito” significava fazione, parlamento, massificazione sul modello socialista che altro non erano se non obiettivi da combattere. Dal canto suo, Mussolini impiegava la lingua come cortina fumogena arrivando a usare come sinonimi “movimento” e “partito”, per quanto la macchina che Mussolini aveva messo in moto con lo squadrismo non era immediatamente governabile.

Una maggiore disciplina va a garanzia del nucleo dirigente, ma non tutela i cittadini che si vedono privati nella vita quotidiana dei diritti fondamentali (libertà di parola, di riunione) subendo anche il controllo del voto. In questa fase abusi, minacce, percosse e delitti impuniti sono la norma.

Piuttosto, la costituzione del partito diventa funzionale anche a una più ampia raccolta di fondi: l’obbligo della tessera sarà uno strumento determinante per il finanziamento gestito dal centro alle quali si affiancano, nella fase costituente, le ricche donazioni. Su questo aspetto informano le carte prefettizie del 1921 riportando varie modalità di sovvenzione, ben ricostruite da Giuseppe Della Torre (Le Carte e la Storia, n 1, 2018). Ad esempio, a Crevalcore, un paese della campagna bolognese, proprietari e affittuari terrieri pagano al Fascio locale una quota annuale sulla base della terra posseduta o lavorata; a Torino sono raccolti fondi fra la piccola, media e grande borghesia con somme cospicue elargite da banche e industriali.

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