di Andrea Vivalda

Virus costruiti in laboratorio per decimarci, mascherine e lockdown per imbavagliarci, vaccini con un chip per controllare le nostre coscienze con il 5G. Sono alcune delle teorie del complotto più in voga nei nostri tempi, delle quali scienza, dati e storia hanno ormai dimostrato l’assoluta infondatezza.

In tutto il frastuono della storia degli ultimi anni, peraltro, non abbiamo forse intercettato una silente, ma determinante trasformazione globale avvenuta sotto traccia, o meglio: l’abbiamo intercettata per i vantaggi che ci ha offerto, ma potremmo averne sottovalutato i pericoli.

Dal 2010 ad oggi l’infrastruttura informatica che sostiene tutte le nostre attività personali e professionali ha subito una rivoluzione totale: lo spostamento al “cloud” di tutti i nostri dati digitali, sia quelli personali (ormai spesso abbiamo tutte le nostre foto su piattaforme terze) che quelli aziendali. Persone, aziende, governi, amministrazioni pubbliche hanno inesorabilmente inseguito la tendenza a spostare sul “cloud” tutte le loro informazioni, dati ed applicazioni, nella corsa al risparmio che questo processo di globalizzazione digitale consente. Quasi nessuno utilizza più proprie infrastrutture per memorizzare le informazioni o per eseguire applicazioni anche critiche e complesse: tutto ciò è stato affidato alle mani di quei pochissimi leader dell’hi-tech che forniscono servizi in “cloud”. Nelle aziende non esistono quasi più i server interni che, tra l’altro, davano numerosi posti di lavoro ai tecnici locali; oggi i dati, i sistemi contabili, di gestione del marketing, del personale, tutto è posizionato su un servizio in “cloud”.

Certo, i costi così come le preoccupazioni date dal gestire la propria infrastruttura informatica internamente si sono ridotti al minimo, si può accedere a tutto da tutto il mondo e da qualunque device, tutto è “globalizzato” anche nel digitale e la semplificazione gestionale è evidente: “basta pagare la bolletta, pensano a tutto loro”; ma ci sono anche degli svantaggi in questo approccio? Ci sono rischi? La chimera della globalizzazione digitale che abbatte i costi nasconde forse qualche pericolo?

“Cloud” altro non significa che tutti i dati, le informazioni e i processi fondamentali di tutti coloro che lo hanno sottoscritto (persone, aziende, governi, amministrazioni pubbliche) è ospitato su infrastrutture sparse nel mondo di proprietà di quei cinque o sei leader mondiali di tali servizi, ovvero di cinque o sei Ceo: cinque o sei persone. Non i governi con i vaccini dunque, ma cinque o sei persone al mondo, un domani, potrebbero svegliarsi con l’idea di pretendere l’attuazione di qualche tipo di comportamento ad un certo insieme di aziende, o ad un gruppo di governi o di pubbliche amministrazioni, in cambio di non “spegnere l’interruttore”, ponendole nel giro di un minuto in condizione di non poter accedere ai loro dati, ai loro documenti, di non poter usare i loro sistemi contabili e gestionali, di non poter utilizzare le informazioni di progetto per procedere con la produzione, insomma: di fermarsi completamente.

Per essere più pratici: se un governo di uno Stato fosse contrario all’insediamento sul proprio territorio di uno stabilimento altamente inquinante di un’azienda di proprietà della stessa persona proprietaria del “cloud” nel quale quel governo ha tutti i propri dati, si potrebbe ravvisare un conflitto di interessi? Si percepirebbe qualche pressione? Secondo me sì.

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